Dedico queste riflessioni a tutti i genitori che si trovino a dover affrontare con i loro bambini piccole e non gravi situazioni di salute, senza sconfinare nella malattia vera e propria, ma solo sfiorandola attraverso un piccolo ma importante viaggio dentro un mondo piccolo fatto di piccoli uomini che devono crescere.
Premesso che non lavoro nello specifico nell'ambiente pediatrico e non ho quindi una formazione in quell'ambito, ma la formazione in ambito geriatrico mi ha aiutato molto in situazioni dove il paziente, casuale, era un piccolo paziente, un bambino, una persona fragile, con le stesse fragilità di un anziano.
La fragilità è indice di paura. Lo sanno bene i vecchi che da ammalati si affidano silenziosi ed arresi alle cure di chi li manipolerà per il loro bene, spesso con fare cruento ed irrispettoso della loro paura più grande: quella di andarsene.
Lo sanno anche i piccoli dopo le prime vaccinazioni dell'infanzia, lo sanno perchè , seppur neonati, memorizzano ogni esperienza e la collocano in un'area della loro coscienza in crescita dandogli un nome: paura.
La paura va riconosciuta, accettata, vinta. Provate a dirlo a un bambino di soli cinque anni che deve fare un banale prelievo di sangue, convincete un ululante esserino di otto anni che deve fare mensilmente una iniezione di profilassi antibiotica...
Neanche "mettendosi nei suoi panni" potrete convincerlo perchè in quei panni magari ci sei stata anche tu ed è proprio quell'imprinting materno infantile da cui arrivi che ti fa mettere nei panni giusti o quelli sbagliati.
Ma da infermiera sei sempre nei panni sbagliati, anche se sei stata anche tu una bambina, anche se sei una mamma. La parte giusta è quella inaspettata: prendersi cura prima di quel genitore che accompagna il piccolo paziente verso una prima esperienza da piccolo adulto che affronta una delle tante paure che dovrà affrontare nella vita.
Non si separa mai un figlio da un genitore soprattutto quando ha paura. E quando ad avere paura sono proprio i genitori? Quando loro stessi trasmettono al bambino le loro stesse paure, spesso grandi ed irrisolte? Bene, tutto questo un bravo analista lo risolverebbe con un paio di sedute sul lettino, ma di regola gli infermieri hanno a disposizione circa 8 minuti (tempo prestazionale) per prelevare un po' di sangue ad un mocciosetto che nella migliore della ipotesi strilla, morde, scalcia e ti insulta se ha già almeno una dozzina di anni.
Otto minuti per fare del counselling psicologico a un genitore appanicato e un prelievo ematico ad un bimbo ovviamente spaventato. Sembrerebbe impossibile ma con un po’ di buon senso si puo’ fare. Lavorando sulla cosa più banale e certa di quel momento fatto di otto minuti tecnici che non ti danno ne tempo ne spazio per farti amico quel piccolo utente che ha tutto il diritto di avere un po di paura.
Lasciate che i vostri piccoli abbiano paura. Insegnategli ad affrontarla. Siate sinceri, non promettetegli regali dopo aver superato una paura che non gli avete raccontato, informateli su quello che andranno ad affrontare, insegnategli che dopo aver affrontato quella piccola paura saranno sempre un po' più forti ed invincibili, come gli eroi della loro infanzia.
Non sgridateli se piangono, se strillano, se non offrono spontaneamente il loro braccio alle infermiere cattive. Raccontategli sempre una verità fatta di concretezza e di non censura delle loro emozioni.
Piangono? E che piangano, è assolutamente naturale che lo facciano. Il pianto scarica la negatività e carica di energie nuove inaspettate. Ma parlate con loro prima, sempre, non mandateli incontro a piccole manovre sanitarie (per fortuna speriamo sempre banali) senza che sappiano cosa dovranno affrontare, soprattutto se voi siete stati dei bambini impreparati.
Abituateli alle loro paura, queste sono le prime, su queste si gioca la loro formazione sociale e la loro crescita emotiva. E tutto sarà più semplice, per chi come me si leva il camice bianco (feticcio di paure) di fronte ad un bambino che mi guarda come si guarderebbe un alieno, per chi come me se ne frega di quegli otto minuti che possono diventare quindici se servono a costruire un brevissimo ma efficace rapporto di fiducia con la piccola belva, a quelle come me che nella borsa degli attrezzi hanno sempre un ciupa ciupa o il mitico ovetto Kinder.