Attualità - 06 luglio 2020, 07:13

"L'economia ha influenzato decisioni che potevano cambiare i numeri della pandemia". Il giornalista astigiano Maurizio Ferrari ci racconta la tragedia del Bergamasco

L'Eco di Bergamo ha smascherato le vere cifre:"Quasi 5mila morti solo a marzo, gli ospedali scoppiavano, le persone cercavano i parenti portati a morire chissà dove"

Il giornalista astigiano in redazione, a Bergamo, prima del lockdown

Il giornalista astigiano in redazione, a Bergamo, prima del lockdown

Sono talmente amante delle colline astigiane da aver cercato un posto (Brusaporto, BG) che mi consentisse di essere vicino al lavoro e pensare di essere a casa”.

Il giornalista astigiano Maurizio Ferrari che ormai da più di 25 anni lavora per l’Eco di Bergamo, oltre a non aver mai perso l’amore per la sua città, ha vissuto sulla sua pelle professionale il dramma della sua zona al tempo del Covid.

L’occasione per una chiacchierata con lui, è arrivata, qualche giorno fa in occasione della visita del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella al cimitero monumentale di Bergamo per omaggiare e riflettere sui tanti morti in solitudine per il Covid.

L’immagine che ha fatto il giro del mondo e passerà alla storia, dei camion dell’esercito con le bare, è il simbolo della tragedia che forse poteva avere numeri inferiori.

La frase del Presidente Mattarella drammaticamente vera: “Ricordare significa riflettere, seriamente, con rigorosa precisione, su ciò che non ha funzionato, sulle carenze di sistema, sugli errori da evitare di ripetere", è il filo conduttore del giornalista astigiano.

Saremo ricordati per sempre – ci spiega Ferrari - come la generazione del Coronavirus, è stato talmente devastante per tutti che sarà ricordato nei secoli. Un fenomeno che in questa terra martoriata ha raggiunto l’apice. Le immagini cruente delle bare trasportate un po' ovunque dai camion dell'esercito, hanno segnato la nostra vita.

Ho sempre pensato che il popolo bergamasco fosse un popolo molto tenace 'mola mia', si dice... e grande lavoratore, dai ritmi quasi giapponesi, ma questa volta è stato messo a durissima prova. Da astigiano ricordo bene che durante l'alluvione del '94,  furono tanti i Bergamaschi che ci avevano aiutato.

DATI DRAMMATICI E SOTTOSTIMATI

Per parlare di dati drammatici e terribilmente reali, Maurizio Ferrari fa il paragone con i morti della seconda Guerra Mondiale. Il Covid ha mietuto nel Bergamasco circa 6000 morti in 2 o 3 mesi con l’apice a marzo. “Tanto per fare una proporzione, nella seconda guerra mondiale, questa provincia, come civili, in cinque anni ebbe meno di mille vittime”.

A rendere ulteriormente il dramma che ha colpito questa provincia martoriata è il freddo studio Istat e cioè di un incremento di morti del 545% rispetto all’anno precedente.

IL BALLETTO DELLE CIFRE E CHI È MORTO IN CASA

Noi dell’Eco - racconta Ferrari - abbiamo smascherato le ‘cifre ballerine’ ufficiali che non tenevano conto dei morti in casa. Praticamente se qualcuno veniva ricoverato con il virus, era conteggiato come deceduto per Covid, ma i morti in casa che non potevano accedere al tampone, errore gravissimo, non venivano etichettati come morti per virus.

L’Eco con la sua inchiesta ha stabilito cifre molto differenti e molto più alte, quasi 5000 solo a marzo. Un'indagine che ha assegnato al giornale il prestigioso Premio internazionale di giornalismo Ischia che verrà consegnato a settembre.

L'ECO DI BERGAMO CITATO NEL MONDO

Il grande lavoro sul campo è valso ai colleghi dell’Eco di Bergamo altri due riconoscimenti. Uno che ha fatto il giro di tutti i tabloid e cioè l’aumento esponenziale delle pagine dei necrologi che dalle 2/3 pagine giornaliere è lievitato a 12/13 al giorno nei momenti più acuti e Le Monde ha dedicato un inserto settimanale al lavoro fatto dalla Testata bergamasca.

Abbiamo raccontato tante storie, piccole, grandi, di volontariato, di persone che non hanno mollato, sanitari, infermieri. Molti si sono ammalati, altri sono morti anche molto giovani. Sono state dette tante cose false, non sono morte solo persone anziane con patologie pregresse, il Covid non era poco più di un’influenza. Qui abbiamo visto morire persone di 30/40 anni. Una situazione degenerata anche in sfiducia verso le istituzioni, come ha dimostrato anche la protesta durante la visita di Mattarella".

LE MORTI IN SOLITUDINE, TROPPE, GLI OSPEDALI SCOPPIAVANO

Al culmine dell’emergenza si contavano anche 200 morti al giorno, persone con delle vite, dei sogni dei figli, degli amori, delle storie. Persone che se ne sono andate in solitudine e la visita a Bergamo del presidente Mattarella ha tentato di cucire una lacuna, una voragine. Ci sono state proteste nell’occasione, proteste di una disperazione affatto sopita.

Praticamente i numeri di una cittadina rasa al suolo – continua Ferrari – con ospedali che esplodevano, persone che cercavano i congiunti e portati a morire chissà dove, senza una carezza, senza un fiore e questa è forse stata la cosa più atroce, che però ha compattato un popolo che sente molto lo spirito di appartenenza.

Sono figlio di un medico (il papà, Carlo Ferrari inaugurò il reparto di Rianimazione dell’ospedale di Asti), capisco cosa abbiano passato i sanitari in questa guerra”.

TANTI ERRORI... "NESSUNO HA VOLUTO DECIDERE"

I primi presagi nel Bergamasco si ebbero a inizio febbraio. “Una nostra segretaria, spiega il giornalista astigiano, ha avuto il figlio contagiato, ma sembrava qualcosa di passeggero. Da lì, l’escalation e i casi decuplicavano e misteriosamente si assentavano persone dal lavoro. Anche un collega ha rischiato la pelle, la catena di lutti ha toccato anche persone che conoscevamo bene".

Da lì il clamoroso errore di non istituire la zona rossa tra Alzano e Nembro che è stata la zona a maggior contagio d’Italia ('anche più di Codogno' ci spiega il collega) e il rimpallo di responsabilità tra Stato e Regione.

Nessuno ha voluto decidere, dice duramente Ferrari, il fatto di chiudere tutta la regione è stato un palliativo per cercare di ridurre i danni che ormai erano stati fatti.

In ospedale non si riusciva a far fronte alle persone che morivano come mosche. Anche a livello psicologico ce la porteremo dietro per anni. Notte e giorno c’era il sinistro suono delle ambulanze".

L’economia ha influenzato le decisioni per non fare chiudere? “Io lo credo abbastanza, smentiscono tutti, ma una provincia a così alto tasso industriale, ha cercato di lavorare fino all’ultimo a scapito della salute collettiva. Il pronto soccorso di Alzano chiuso e poi riaperto dopo poche ore è stato uno sbaglio enorme ed è oggetto di indagine".

Non solo fatalità e un evento che nessuno poteva prevedere, ma situazioni anomale che andavano gestite diversamente. “Il resto d’Italia ha preso spunto dalle nostre tragedie, per limitare i danni, anche se il mio Piemonte è subito dietro la Lombardia, sono distanti anni luce. Ora tutto deve ricominciare ma con prudenza, faccio fatica a credere che in pochi mesi ci si potrà rimettere in piedi. Molti non hanno riaperto. Ma la tenacia sicuramente ci aiuterà".

Betty Martinelli

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