Cultura e tempo libero - 23 gennaio 2021, 07:30

Viviamo in un posto bellissimo dalla grande memoria

Puntata dedicata ad un giorno speciale, quello della memoria. Importante appuntamento e aiuto per guardare a un futuro di fratellanza e rispetto

Ricordare fa bene

Mercoledì prossimo, 27 gennaio, si celebra il Giorno della Memoria, ricorrenza internazionale, definita nel 2005 dall'ONU, per commemorare le vittime dell'Olocausto. 27 gennaio perché in quel giorno del 1945 le truppe dell’Armata Rossa liberarono il campo di concentramento di Auschwitz, simbolo universale della tragedia ebraica.

In Italia ci siamo arrivati qualche anno prima, definendone data con una legge del 2000, anche a ricordare le responsabilità nostrane sulle disonorevoli leggi razziali. Non a caso il testo di legge conclude: Per conservare nel futuro dell'Italia la memoria di un tragico ed oscuro periodo della storia nel nostro Paese e in Europa, e affinché simili eventi non possano mai più accadere. Ricordare le vittime della Shoah, in ebraico catastrofe, disastro, distruzione, oltre a essere sacrosanto,non è certo trascurare altri genocidi, né stabilire inutili priorità tra stermini e dolori di un popolo piuttosto che di un altro, ma semplicemente è riconoscimento collettivo di fatti terribili a cui l’Italia ha collaborato.

Tutti coloro che dimenticano il loro passato sono destinati a riviverlo. Lo scriveva Primo Levi. Affermazione più che corretta, confermata, ahimè, dalla storia della comunità ebraica astigiana, pur se non certo per sua volontà di rivivere qualcosa.

Asti è stata sede di una comunità tra le più antiche e importanti del Piemonte. La prima documentazione della presenza ebraica è dell'812, con la menzione in un passaggio di terreni a un certo Dondoni judeo. Con le espulsioni del XIV secolo da Spagna, Francia e Germania, l’aumento della popolazione ebraica in città e nell’Astigiano iniziò ad essere significativo. Si dedicavano alla conciatura delle pelli e alla tintura delle stoffe, mestieri che nel medioevo erano considerati impuri. Impuri tanto quanto il credito su pegno, attività svolta da diverse famiglie ebraiche astigiane, andando prima a integrare e poi a sostituire quanto già portato avanti dalle locali Casane. Con diversi alti e bassi, espulsioni e riammissioni, eccoci nel 1723: lo Stato Sabaudo istituisce il ghetto in contrada degli Israeliti, già dei Cappellai, oggi via Aliberti, ed in quella di San Bernardino, attorno all'attuale via Ottolenghi. Per coglerne gli effetti, pensate a casa Artom, la prima casa del ghetto. Le sue finestre davano su Piazza San Secondo e i proprietari, rei di possedere due finestre che si affacciavano fuori, furono obbligati a far eseguire un affresco raffigurante una sacra conversazione tra le due finestre, ad indennizzo del privilegio loro concesso. Privilegio? Follia con unico vantaggio per i posteri, nell’opera di un maturo Aliberti. Poi arrivano i francesi, nel 1791, e...liberi tutti, in spazi e considerazione civica: liberi cittadini. Anche se, per arrivare alla totale e formale emancipazione, dovettero aspettare lo Statuto Albertino del 1848. Le famiglie ebraiche più benestanti acquistarono nuove case fuori del vecchio recinto, integrandosi nel tessuto sociale della società ottocentesca astigiana e contribuendo non poco al suo sviluppo. Basti ricordare, uno per tanti, Leonetto Ottolenghi. Senza di lui, tanto per capirci, i palazzi Ottolenghi ed Alfieri sarebbero diversi e non obbligatoriamente di proprietà comunale, con il primo ceduto al Comune dopo la sua morte ed il secondo donato ad inizio '900, in piazza Roma non ci sarebbe il monumento dedicato all'Unità d'Italia, piazza Cairoli non avrebbe Umberto I a cavallo, in Collezione Civica mancherebbero moltissimi capolavori e molti ritratti del Pittatore di cui era un caldo ammiratore ed amico, non avremmo un Museo del Risorgimento così come mummie e reperti antichi da esporre. Passa qualche decina d’anni e broom! Di nuovo brutti e cattivi. Diversi da ghettizzare, diversi da eliminare.

In un momento in cui in molto Mondo parla ed opera per dare valore e rispetto alle differenze, fino a non considerarle e chiamarle più tali, il Giorno della Memoria è certamente un valido aiuto per guardare avanti, per guardare ad un futuro diverso. Lui sì.

Davide Palazzetti