Non sto parlando di accostamenti cromatici, ma di intersezioni sociali. Crisi climatica e disparità sociali spesso sfumano l’una nell’altra; così come le emergenze ambientali hanno un impatto più pesante sulle persone già in partenza svantaggiate, andrebbe ricordato come il ruolo femminile e delle minoranze si assesti ancora oggi al di là del valico culturale, monetario, familiare, costituito da disparità economiche e sociali, dal “Gender Gap”, dalle violenze basate sul genere, spesso condizioni avvinghiate con forza al riflesso materiale del territorio.
L’economia che ci tiene sulla cresta dell’onda ci ha certo portati in alto, ma da questa ripida posizione possiamo facilmente precipitare: basti pensare al ricorso alle “quote rosa”, a quanto le problematiche locali si leghino a quelle sociali.
In condizioni di guerra, nei campi profughi e nelle relative distribuzioni di potere e responsabilità economica ed interpersonale; In condizioni di disastri ambientali, quando l’accessibilità alle risorse diminuisce ed ancor più per le categorie marginalizzate e meno dotate di capacità gestionali di tali risorse fondamentali; In condizioni di vita difficoltose a livello economico e sociale, in cui spesso la responsabilità del nucleo familiare ricade sulle figure femminili, per quanto gravate da diseguaglianze preesistenti e da minori possibilità di realizzazione scolastica, lavorativa, personale. Condizioni in cui spesso sono donne a lavorare per cifre irrisorie, salariate da aziende la cui unica priorità verde è il greenwashing. Sempre più comune nel settore della moda usa e getta, fast-fashion che si erge su una forza lavoro quasi totalmente femminile, sottopagata ed in condizioni di insicurezza non solo economica, ma anche personale e fisica sul luogo di lavoro. Durante l’emergenza sanitaria legata alla pandemia, che ha ulteriormente contribuito a distanziare i salari medi, nonché le donne da una occupazione maggiormente rispetto agli uomini.
È doveroso però ricordare che, anche in condizioni “normali” tutto ciò è contemplato, in un capitalismo esasperato che porta ai massimi termini valori certamente non egualitari. Per una risoluzione, costante e decisa, delle problematiche femministe, sociali ed altre ancora, non basta una t-shirt ornata da glitter con la scritta “femminista”, resa certo accessibile nel prezzo ma dall’ingannevole natura ambientalista, nonché in parte recriminatoria per l’acquirente (non tutti hanno sempre il privilegio di poter scegliere di acquistare in prospettiva ecologica). Non basta nemmeno una parità di facciata senza considerare le difficoltà distribuite in modo certamente non casuale, discriminatorio, e neanche una sola giornata all’anno, senza considerare la molteplicità dell’otto marzo, l’intersezionalità delle lotte, la pluralità delle voci.
Perché oggi la crisi climatica è anche una priorità femminista, ed un femminismo maturo parte essenziale di un ambientalismo contemporaneo e consapevole.