Voce al diritto - 21 agosto 2021, 07:45

“Meglio un cattivo processo che un bel funerale (?)”

Uso delle armi: reazione non sempre legittima. Dubbi in ordine alla compatibilità con il diritto alla vita

“Gentile Avvocato, in questi giorni si svolge la festa del paese in cui vivo in una casa poco fuori dal centro con la mia famiglia. Ultimamente si sono consumati alcuni furti nelle case limitrofe e sono molto preoccupato. Volevo comprendere fino a che punto posso spingermi se dovessi sorprendere il ladro in azione, anche perché sono titolare di un regolare porto d’armi e pronto a difendere la mia famiglia”

Il tema della legittima difesa torna ciclicamente di attualità, interessando gli operatori del diritto che, sulla scia dei fatti di cronaca, devono sforzarsi di calibrare difese e consulenze sulla scorta di nuove interpretazioni dei limiti di operatività di una delle più celebri esimenti presenti nel nostro codice penale. Tutto ciò premesso, caro lettore, l’uso delle armi per difendersi non è una reazione sempre legittima, anche nel caso di intrusione domiciliare.

La riforma apportata dalla L. 36/2019 non si è dimostrata all’altezza delle aspettative: l’obiettivo dichiarato dal legislatore era quello di escludere la punibilità di chi, difendendosi nel domicilio o nel proprio posto di lavoro (si pensi alla rapina in un esercizio commerciale) uccida o ferisca il malintenzionato. Il rispetto dei vincoli inderogabili, se si analizza con attenzione la disposizione di legge riformata, permane: il pericolo dell’offesa deve essere attuale, l’aggressione da cui ci si difende deve essere rivolta alla persona e non ai beni, non deve esistere un’alternativa di difesa da poter attuare. Detto altrimenti, per evitare “di finire nelle grane”, la fuga sembrerebbe, tra le righe,la scelta consigliata dal legislatore. Questi i criteri determinati dalla Corte di Cassazione (Cfr. n. 13191/2020). Nel principio di diritto espresso nella sentenza in commento, la Corte di legittimità ha tracciato i confini dell’operatività dell’esimente della legittima difesa al fine di renderla compatibile con il diritto alla vita. Gli ermellini, a tal proposito, hanno affermato che “l’obbligo di rispettare il diritto alla vita, non solo non tollera presunzioni di necessità, ma impone una puntuale e concreta verifica della necessità della condotta realizzata per la quale è invocata la scriminante della legittima difesa”.

Le riforme

In primo luogo, preme evidenziare come la riforma del 2019 che ha interessato gli artt. 52 e 55 del codice penale, costituisca lo stato dell’arte in materia legislativa sul punto. Occorre tuttavia porre mente al fatto che, il primo intervento in materia, risale all’ormai lontano 2006 (Legge n. 59/2006). Tale norma ebbe l’onore (e l’onere) di introdurre nel nostro ordinamento la causa di giustificazione della legittima difesa domiciliare, prevedendo una presunzione di proporzionalità della reazione difensiva - anche con un’arma, ove legittimamente detenuta – all’interno del domicilio o in un posto di lavoro ove venga esercitata un’attività commerciale o imprenditoriale. La legge n. 36/2019 ha reso assoluta tale presunzione, avendo cura di precisare a tutela dell’offeso come l’autodifesa non sia suscettibile di interpretazione discrezionale da parte del Giudice. La disposizione di legge, infatti, recita:“agisce sempre in stato di legittima difesa (…)“.

Dalla teoria alla pratica

“Tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare“ e, con particolare riferimento al delicato tema della legittima difesa, pare non esista proverbio più calzante. Come si avrà modo di intuire, il dettato legislativo ha lasciato ampi margini di definizione e di interpretazione della norma, tali da giungere al paradosso di svuotarla del motivo cardine che l’aveva originata.

La giurisprudenza di legittimità, infatti, ha da subito posto significative limitazioni finalizzate a contenere la portata della legittimità dell’autodifesa, stringendo le maglie di tolleranza. Si è infatti affermato in giurisprudenza che “il ricorso alla forza, tale da poter condurre a provocare la morte di un uomo, sia da ritenersi giustificato solo se assolutamente necessario per assicurare la difesa delle persone da una violenza illegale” (Cfr, Cass, n, 19065/2019). Ne consegue che la presunzione di proporzionalità dell’autodifesa con l’arma nel domicilio ha natura eccezionale; stando a quanto riferito dalla giurisprudenza, tale presunzione opera solo quando la tutela pubblica in concreto non sia possibile e presuppone l’esistenza delle precondizioni della necessità e inevitabilità della difesa e dell’attualità del pericolo dell’offesa, non altrimenti contenibili.

L’apprezzamento in ordine al rispetto dei requisiti richiesti dalla norma è rimesso, ancora una volta, al Giudice e non può ritenersi esistente “in re ipsa”. Dunque, la scriminante della legittima difesa presunta, disciplinata dall’art. 52 c.p., come modificato dalla Legge 26 aprile 2019 n. 36, non consente un’indiscriminata reazione contro colui che si introduca fraudolentemente nella dimora altrui, ma postula che l’intrusione sia avvenuta con violenza o con minaccia dell’uso di armi o di altri strumenti di coazione fisica, così da essere percepita dall’agente come un’aggressione, anche solo potenziale, alla propria o altrui incolumità, atteso che solo quando l’azione sia connotata da tali note modali può presumersi il rapporto di proporzione con la reazione (in tal senso si veda Cass. n. 34981/2020).

Se la difesa è illegittima, quali sono le conseguenze?

In assenza della scriminante ci si trova dinanzi ad un reato suscettibile di essere punito dallo Stato. Se, ad esempio, ci si difendesse contro un’aggressione senza rispettare le “prassi operative” elaborate dalla giurisprudenza e si arrivasse ad uccidere un uomo, il reato che verrebbe contestato all’aggredito sarebbe quello di omicidio.

La legittima difesa sulla “bilancia” dei principi costituzionali

Quando ci si trova a comparare l’autotutela con il diritto alla vita, il risultato non possiede mai contorni certi e definiti. A volerla dire tutta, ci si muove su di un campo minato. Se si guarda alla norma con la dovuta attenzione, ci si avvede del fatto che, ad essere stato rimodellato, non è il confine della causa di giustificazione obiettiva: si è attuata una restrizione della responsabilità penale, per ragioni afferenti al profilo soggettivo, senza intaccare in alcun modo il perimetro di ciò che si ritiene “obbiettivamente giustificato”.

Parrebbe dunque possibile affermare che, differentemente dall’ipotesi di elisione della antigiuridicità del fatto di cui all’art. 52 c.p (legittima difesa “semplice”), l’ipotesi di cui all’art. 55 c.p. (legittima difesa domiciliare) codificherebbe una mera “scusante”, fondata su di un giudizio di “inesigibilità” di un comportamento alternativo, che tiene in debita considerazione la difficoltà di reagire in maniera ponderata in situazioni di minorata difesa o di grave turbamento dovuti ad una situazione di pericolo in atto. L’introduzione del lemma “sempre” all’interno del secondo comma non ha, quindi, comportato alcun mutamento di fatto della presunzione che resta certamente interpretabile in un’ottica costituzionalmente orientata, confermando la portata simbolica dell’intervento sul punto.

Riflessioni conclusive

I principali problemi concernenti l’esimente della legittima difesa sono sempre stati di carattere concreto e pragmatico, in quanto afferenti all’accertamento – nel merito – della sussistenza degli elementi atti a giustificare l’esclusione della penale responsabilità. La riforma legislativa ha tentato di “semplificare” l’accertamento nel merito (o forse sarebbe più corretto affermare che ha sperato di poterlo bypassare mediante l’utilizzo di presunzioni) non tenendo in considerazione lo scontro inevitabile coni diritti costituzionali. Ecco che allora è dato comprendere come mai lo slogan “difesa sempre legittima” abbia oggi una portata applicativa molto debole. Ci si aspettava di più, ma il delta fra il dato normativo e la reale portata applicativa della norma pare allo stato non colmabile con facilità.

Avv. Filippo Testa


Voce al diritto a cura dell'Avv. Filippo Testa
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