Dopo il bar, che ha chiuso i battenti nel 2013, e numerosi servizi, nella giornata di ieri la stazione ferroviaria di Asti ha perso un altro importante elemento collaterale. Ovvero la tabaccheria, da sempre presente (è la licenza numero 25 rilasciata ad Asti) e gestita da ormai oltre 12 anni da Luciano Antoniazzi.
Ed è proprio il titolare, che ha chiesto di non comparire nelle foto che pubblichiamo, che nell’ultimo giorno di apertura, ci ha espresso tutta la sua amarezza per il triste finale di questa avventura professionale iniziata nel 2010.
OLTRE 7.000 EURO D'AFFITTO... E POI IL COVID
“Nonostante le tante difficoltà, iniziate con la chiusura del bar e proseguite con il venir meno del negozio del parrucchiere, la rimozione del deposito bagagli, del bancomat e delle slot, ho cercato di tirare avanti finché ho potuto – ci ha spiegato – Solo che qui l’affitto è di 7.200 euro al mese: l’ho sempre regolarmente pagato, ma negli anni venendo meno tutte queste cose è drasticamente calato il flusso di persone in transito e, di conseguenza, anche i nostri introiti”.
“Poi è arrivato il covid che ha azzerato tutto – ha aggiunto – e da lì per mesi e mesi non ho praticamente visto clienti, anche e soprattutto nei periodi di lockdown. Ma non è andata meglio dopo… pensi che alcuni clienti ‘storici’, che prima del covid passavano praticamente tutte le mattine a comprare le sigarette, li ho rivisti quasi due anni dopo”.
INCASSI RIDOTTI AL 30%
“Negli ultimi tempi le cose solo leggermente migliorante – ha precisato – ma ci attestiamo comunque su circa il 30% degli incassi che facevamo quando il lavoro non mancava affatto. Certo, anche altri colleghi hanno subito un drastico calo degli incassi, ma arrivano comunque al 60-70% di quanto guadagnavano prima, noi siamo a praticamente un terzo”.
L'ACCORDO SALTATO A UN PASSO DALLA FIRMA
Una situazione oggettivamente complessa che lo ha portato a chiedere, per via giudiziale, a Rete Ferroviaria Italiana di ridiscutere l’importo del contratto d’affitto, peraltro scaduto da tre anni. “Sapevano benissimo anche loro che togliendo tutti quei servizi avrei avuto meno introiti, ma ciò nonostante non hanno variato la cifra di un centesimo. Quindi ci siamo siamo ‘incontrati’ in videoconferenza – ci ha spiegato – i nostri avvocati qui ad Asti, i loro a Roma e Milano, e eravamo arrivati molto vicini ad un accordo. Poi, quando l’anno scorso l’amministratore delegato dell’azienda è venuto ad Asti a presentare dei nuovi treni, io ho messo fuori dal negozio dei cartelli in cui denunciavo la situazione difficile che stavo vivendo. Pochi giorni dopo, l’accordo è saltato e mi hanno comunicato che non avevano intenzione di ridiscutere o rinnovare il contratto”.
“Ovviamente non dico che la loro sia stata una ritorsione, non ho prove per affermarlo, ma certo la coincidenza è molto strana. Ma io mi domando e dico: siamo ancora un Paese democratico? Posso esprimere liberamente il mio pensiero o debbo temere ritorsioni? Cosa siamo diventati? La Korea del nord?”
RFI 'SORDA' ANCHE ALL'APPELLO DELLA CLASSE POLITICA
Stando alle sue parole, neppure l’interessamento della classe politica è valso a far tornare Rete Ferroviaria Italiana sui propri passi: “Io posso solo ringraziare il sindaco Rasero, il presidente Cirio e l’assessore Gabusi per essersi interessati alla mia situazione. Hanno scritto una lettera a RFI, facendogli presente che venendo meno anche la tabaccheria questa stazione avrebbe subito un ulteriore impoverimento, ma di fatto è come non li avessero neppure considerati… Nella risposta dell'azienda c'erano tante belle parole: faremo, vedremo, valuteremo… ma il risultato è che io stasera (ieri, per chi legge l’articolo, ndr.) tirerò giù le serrande per l’ultima volta”.