Vi ricordate il libro di Griffi, Ferrovie del Messico?
Quando feci la sua presentazione al Fuoriluogo mi accalappiò un ragazzo. Un bel biondino distinto con due occhi azzurri penetrantissimi che con un sorriso nervoso mi disse che ero stata brava, che si chiamava Lorenzo e che era il redattore di un qualche quotidiano di Alba (non registrai sul momento l’informazione esatta distratta da quel blu).
Ve la faccio breve: Lorenzo aveva un amico da presentarmi.
O meglio, Lorenzo aveva un amico scrittore che era professionalmente interessato a presentarmi (per la serie “Tu leggi molto! Ho un amico che ha appena scritto un libro!”)
Mesi dopo, tutti e tre siamo andati a prendere un aperitivo; era il primo di agosto, era il mio compleanno, faceva caldissimo e loro erano in camicia.
L’amico si chiamava Alberto.
Alberto beve negroni ambrato, è acquario, ha 25 anni ed è laureato in giurisprudenza a Milano.
Mi raccontano di come siano cresciuti insieme a Santo Stefano Belbo, mi raccontano di carbonare, di fagioli, di come si siano persi e poi rincontrati; si completano le frasi l’un l’altro, sono teneri.
Alberto mi parla del suo feticismo per le prime edizioni dei volumi di Pavese e Fenoglio, libri da collezione costosissimi da nascondere alla madre che avrebbe preferito un altro hobby per il figlio adolescente ma da mostrare con orgoglio al padre con cui invece l’hobby lo condivide; Lorenzo ascolta, ride e scuote la testa.
Alberto mi racconta dei suoi mesi di pandemia: la morte del papà, la fine di un amore, una tesi da redigere, una mamma da abbracciare.
Estremamente solare, energico, fresco. Gli piace scrivere ma solo da poco ha avuto il coraggio di mettere insieme tutti quei pezzi di fogli sparsi provando a far nascere una creatura compatta. Parlo di “nascita” perché ho sentito tutta la stanchezza che gli hanno lasciato mesi e mesi di gestazione prima del parto: incontrare editor, ricevere pali, gli uffici stampa, tempi lunghissimi, essere ignorato, promuoversi, correggere, rimestare, fare decantare, attendere. Credo che la sua frase possa racchiudere l’essenza di questa spremitura “l’esordiente è come il maiale, non si butta via niente”.
Intuisco il conforto che ha ricevuto da Lorenzo, sia come amico sia come sincero critico letterario.
Alla fine mi lascia il suo romanzo LO SPECCHIO e mi lascia anche nel terrore del “se mi farà cagare come glielo dico?”; questione che si è aggravata quando settimane dopo mi hanno organizzato una visita personalizzata, facendomi da guida, alla Fondazione Cesare Pavese. Questione che si è ulteriormente aggravata quando, ormai nel cuore di un legame profondo e intimo, abbiamo creato un nostro gruppo su whatsapp chiamato appunto “I PAVESINI” (appellativo poetico moderno che indica gli amanti di Pavese, i “pavesiani”).
Non importa, mi sono detta, la sincerità prima del resto.
Ebbene, LO SPECCHIO (edito L’ Erudita, Giulio Perrone Editore) è un libro strano.
Un romanzo in cui ogni capitolo vive di forza propria ma poggia su una trama comune: Carlo Carli sbatte la testa contro uno specchio che smette di essere oggetto passivo che riflette per divenire oggetto attivo che fa riflettere.
“Pericoloso andare oltre ad un simile riflesso che permetta di andare oltre la patina di carta da parati che decora e impecorisce, con un velo di ipocrisia, tutto ciò che circonda imbellettandolo, ma nascondendolo”
L’esistenzialismo di un uomo qualunque: un po' pirandelliano, un po' fontamarino, un po' moravesco. Ma c’è anche un po' di Calvino perché il narratore dialoga con il lettore fin dall’introduzione cosa che, oltre ad avermi fatto sorridere, mi ha spinta a fidarmi “Continua a leggere, andiamo!”
Come accennavo, ogni capitolo tratta di un argomento distinto ed è elaborato con una tecnica narrativa sempre diversa; in modo quasi sperimentale passa dalla poesia ai dialoghi, dal flusso storico all’essenzialismo scarno di un’esteta, commedie in atti, ripetizioni, scene teatrali, congressi grotteschi, processi allucinogeni e latinismi (perché comunque Alberto Tortoroglio ha fatto il classico e come ogni classicista non mancherà di ricordartelo ogni quattro secondi).
Se da un lato è divertente, morbido, pieno, dinamico e spontaneo, dall’altro è urgentemente attuale.
Dalla complessità e lucidità con cui affronta gli argomenti prende fuoco la sua formazione universitaria: squilibri di potere, meritocrazia, Caligola e Nerone, quadri di naufragi, disagi giovanili, chiesa, filosofia, Francesco De Gregori, cambi generazionali, Paganini che non ripete, integrazione e governi, incomunicabilità e guerra.
Vi sembrano cose a caso? Può darsi, eppure alla fine tutto assume senso.
L’abbraccio con lo specchio, i frammenti. La crisi e la rinascita.
L’unica prospettiva che conta: la tua.
“Lo specchio ha riflesso e noi abbiamo riflettuto, e ora?”
Introspezione. Allegoria. Sperimentazione.
Lettore, continua ad interrogarti sull’esistenza e a metterla in discussione; nel caso fossi a corto di domande questo libricino potrebbe essere un ottimo spunto!
Alberto, mio giovane maiale- esordiente, ti auguro il meglio. Continua a scrivere, continua ad infuocarti e ad emozionarti.
Lorenzo, tu invece continua a giocare a padel e a mangiare le sue carbonare.
E non hai capito ancora come mai
gli hai lasciato in un minuto tutto quel che hai,
però stai bene dove stai.
Però stai bene dove stai