La filosofia e le sue voci - 28 gennaio 2023, 09:00

Per un piatto di lenticchie

Nuovo appuntamento con le riflessioni di Simone Vaccaro, per la rubrica "La filosofia e le sue voci"

Nessuna scienza potrà dar loro il pane, finché rimarranno liberi; ma finirà che essi recheranno la libertà loro ai piedi nostri, e diranno a noi: "Magari fateci schiavi, ma dateci da mangiare"

Fëdor Dostoevskij, I fratelli Karamazov

Siamo ai vertici della letteratura mondiale. Probabilmente le più belle pagine che mai siamo state scritte in un'opera letteraria. Si tratta del capitolo Il Grande Inquisitore e si racconta della seconda venuta di Cristo, questa volta a Siviglia, nel furoreggiare della Santa Inquisizione. Questa volta il Salvatore viene riconosciuto, eccome. Questa volta il Signore viene trattato come tale, come colui che ha portato la lieta novella. E viene, per questo, incarcerato e torchiato dal Grande Inquisitore. Perché? Perché il suo messaggio è stato letto e interpretato come atto di baldanza, di nobile aristocraticismo che ha avuto il pregio di portare sì la salvezza, ma solamente a coloro che se lo sarebbero potuti permettere. E se nella sua predicazione ha affermato più volte di essersi incarnato per portare affrancamento ai bisognosi e ai malati, l'esito finale non è stato altro che elevare gli elevati e sanare i sani. Il dono concessoci - e dono va qui inteso nel duplice senso di donazione, ma anche in quello venefico di maledizione - si è rivelato un fardello insopportabile: la libertà

Queste pagine sono la descrizione del dramma della libertà, della sua difficoltà e della sua non così automatica estensibilità. L'uomo è debole. E la libertà è virtù dei forti. L'uomo è bisognoso. E la libertà è appannaggio di chi è autonomo. L'uomo è sedizioso. E la libertà è privilegio dell'indifferente. Come può allora essere considerata positivamente? Come può ritenersi un dono prezioso, da difendere con le unghie e con i denti? Timeo Danaos et dona ferentes scrivevano i latini: è da tenere chi porta doni non richiesti. Se poi questi sono i doni… Per questo è necessario il vicariato, la supplenza necessitata dalla desolazione dell'abbandono: "non ti hanno riconosciuto, ti hanno ucciso e ora torni? Hai fatto già danni a sufficienza, ti dobbiamo fermare!" - avrà pensato il Grande Inquisitore, forte del potere conferitogli dal destinato ad essere condannato, ancora una volta. 

È il potere che si è istituito tra i gangli di quella "debole schiatta sediziosa", di quella "razza d'oche", di quegli "insetti di merda" (Oshimi, I fiori del male) che vagano malmostosi in una palude fangosa; è il potere che ha supplito l'assenza di un salvatore, troppo elitario per prendersi cura di colui che è diseredato; è il potere che ha sfamato chi non avrebbe potuto permettersi il lusso di essere libero. Questo è venuto a infrangere con la sua seconda venuta il Messia. Di questo deve occuparsi il Grande Inquisitore, perché la libertà è un peso troppo grande per l'uomo. È la sua condanna. 

Dostoevskij è così provocatorio con queste parole che verrebbe voglia di leggerle e rileggerle, per coglierne la profonda verità e per farla riverberare nelle nostre esistenze: noi siamo nati liberi, siamo liberi in quanto esistenti. Ma la libertà ha il suo peso, il peso che fa essere tridimensionali. 

Simone Vaccaro