La filosofia e le sue voci - 15 aprile 2023, 09:15

L'importanza di un aggettivo

Nuovo appuntamento con le riflessioni di Simone Vaccaro, per la rubrica "La filosofia e le sue voci"

Immagine elaborata da Arena Philosophika

Avevo sempre sognato, da grande, di fare l'aggettivo

Federico Fellini

Il nostro pensiero filosofico è strutturato in sostantivi. Uno dei concetti più importanti dell'intera tradizione occidentale, non a caso, è proprio quello di sostanza, ciò che stando sotto (sub-stans) si pone come il sostrato, come ciò che non muta e che sostiene tutte quelle caratteristiche, quelle proprietà accidentali, ovvero destinate alla transitorietà, ad essere passeggere. La sostanza filosofica diviene il sostantivo grammaticale quando la frase trova perno stabile in un soggetto la cui azione si concorda (verbo singolare —> soggetto singolare). All'interno della proposizione semplice "Luca è alto", la concordanza verbo-soggetto rende possibile la predicazione aggettivale "alto". Già da queste primissime nozioni si può chiaramente evincere l'importanza che la logica riveste all'interno della prospettiva metafisica: le categorie aristoteliche difatti, oltre ad essere indispensabili strumenti di catalogazione della realtà, grazie ai quali siamo in grado di organizzare e conferire senso al mondo circostante, sono anche ineliminabili componenti della realtà stessa. In poche parole, affermare la centralità dei sostantivi è una chiara e netta presa di posizione metafisica.

Che si traduca nella pluralità delle sostanze individuali, ovverosia dei differenti sostantivi, è presto detto. "La mela è rossa" e "la mela è gialla", pur condividendo la medesima struttura formale (X è Y, laddove la copula "è" si pone come 'ponte' tra il soggetto e il suo predicato) e pur presentando il medesimo soggetto, mette sul piatto due entità differenti. Va da sé che mi si potrebbe obiettare che la differenza tra i due soggetti - tra le due sostanze - risieda nel predicato (in questo caso, il colore differente), cosa che si può facilmente concedere. Salvo poi, però, dover necessariamente riconoscere che il predicato riesce a conferire una certa individualità al soggetto proprio perché il soggetto - la sostanza, il sostantivo - sorregge l'intera struttura. Ancora una volta, la metafisica è decisamente sostantiva. 

Ma cosa mostra allora di filosoficamente rilevante l'ironica battuta di Fellini? Diviene tutto più chiaro se seguiamo brevemente un ragionamento formulato dal filosofo nipponico Nishida Kitarō, più volte menzionato in questa rubrica, che rende ragione di questa inversione logica. Prendiamo il più classico dei sillogismi (ragionamenti concatenati): 

In rosso ho segnato il termine medio, quel termine che compare nella premessa maggiore (P. M.) e in quella minore (P. m.) ma non nella conclusione (C). In blu e in verde il predicato e il soggetto che restano e che compongono la conclusione. Cosa ci dice Nishida? Semplicemente che il vero elemento che sostiene l'intera proposizione non è il soggetto (Socrate), bensì il predicato (l'aggettivo mortale). E perché avviene questa inversione logica? Perché non è la particolare sostanza a dare consistenza all'aggettivazione - così come si è sempre creduto - ma è l'aggettivazione stessa a realizzare, a fornire realtà al sostantivo. "Socrate è mortale" implica che l'universale "mortale" ha inglobato in sé il particolare "Socrate".

Divenire aggettivo è l'equivalente di divenire-universale: questo è ciò che ha colto perfettamente Fellini. E, con mossa paradossale, significa divenire-particolare, molto più profondamente che tramite sostantivizzazione. In fondo, non riconosciamo lo stile individuale di un artista quando lo si rintraccia al di fuori del suo operato? 

Simone Vaccaro