Non può essere che la sua sia un'opera d'arte solo perché lui è un artista, perché non tutto ciò che un artista tocca si trasforma in arte
Arthur Danto, La trasfigurazione del banale
E allora? Se un artista non produce opere d'arte, chi dovrebbe produrle? E poi una volta che si è prodotta un'opera d'arte non si diventa ipso facto artista? Quante ne dobbiamo produrre? Due? Forse tre? "Quella non è una vera opera d'arte! La saprei fare anche io!" - quante volte l'abbiamo sentito (quante a nostra volta detto)? Il filosofo americano Arthur Danto (1924-2013) ha raccolto queste domande e ha portato l'interrogazione artistica nel cuore della filosofia. Potremmo anche dire, citando il titolo di uno dei suoi lavori, che l'arte sia stata destituita dalla filosofia, che si sia trasformata in filosofia e che si sia via dissolta siccome nebbia settembrina.
L'arte è da sempre stato oggetto di profonde riflessioni filosofiche. Da Platone in poi, moltissimi filosofi si sono cimentati nel tentativo di definirne limiti e possibilità, prospettive e innovazioni. Di base, sono due gli approcci principali: l'estetica e la filosofia dell'arte. Per quanto possano essere confuse data la vicinanza dell'oggetto di studio, differiscono sostanzialmente tanto nel modo di indagine quanto nel contenuto stesso delle loro interrogazioni. L'estetica, difatti, è più ampia rispetto alla filosofia dell'arte: include al proprio interno sia l'arte, sia il naturale. Secondariamente, l'estetica si occupa del sentimento al cospetto dell'oggetto artistico o naturale e alla bellezza che da esso promana. In poche parole, essa è una forma di conoscenza, inferiore a quella scientifica, ma che comunque non è meno universale (basti pensare alla problematica della oggettività della bellezza). Per filosofia dell'arte, invece, si intende l'individuazione di condizioni necessarie e sufficienti che fanno si che quel dato oggetto X sia un'opera d'arte. Detto più semplicemente, si fa astrazione da ogni nostro sentimento, si trascende la problematica del bello (un'opera d'arte può essere - perché no? - brutta) per cercare di delineare un "codice genetico" dell'opera d'arte in quanto tale.
La proposta di Danto risulta particolarmente efficace, almeno per l'attenzione alla problematica, come ben emerge dalla citazione di partenza. Opera d'arte è ciò che soddisfa alcune determinate condizioni (come, per esempio, il cosiddetto embodied meaning, ovvero il "significato incorporato", l'aboutness, traducibile con l'espressione essere-a-proposito-di e l'essere frutto di un processo interpretativo) che possono e che devono essere individuate dal filosofo. In poche parole, all'arte inerirebbero elementi fondamentali che, in loro assenza, muterebbero lo statuto ontologico stesso dell'oggetto. Per questo si intende superata la cosiddetta teoria istituzionale dell'arte (arte è ciò che è detto essere arte dal mondo dell'arte nelle sue istituzioni, musei e gallerie, e nei suoi operatori, curatori di mostre, critici, galleristi): l'arte è in fondo un universale e ci può essere scienza solo dell'universale.