Ci pensi bene. Che cos'è l'educazione? Non consiste forse nella formazione di adulti utili alla società? Ci si chiede sempre quali siano i metodi adatti per formare cittadini socialmente utili… L'educazione in sé è esattamente un esperimento
Urasawa Naoki, Monster
Il grande cruccio degli educatori: che cosa farne dell'educazione che impartiamo agli educandi? Il difficile risulta dall'evidente contraddittorietà che da essa promana. Se l'educazione è un processo continuo che deve necessariamente passare da uno o più educatori a molti educandi, come è possibile fare sì che essa prenda strade differenti, non omologate e, in qualche modo libere? La domanda, in poche parole, è: come possibile che l'educazione, per quanto condivida regole universali, trovi piena realizzazione nella formazione di singolarità e di individualità in relazione reciproca? Tra le molteplici domande che il mangaka Urasawa Naoki si pone in quel - diciamolo - mattone monumentale che è Monster, questa, sull'educazione, occupa, senza ombra di dubbio, un ruolo di prim'ordine.
Nella citazione riportata, l'impostazione che sembra sorreggerla è quella che potremmo associare all'utilitarismo. L'educazione diviene così lo strumento più efficace per il raggiungimento di scopi puntuali e finalizzati, circostanziati e compiutamente calcolati. E subordinati all'utilità complessiva. L'educazione diviene allora l'applicazione di schemi precostituiti o, quanto meno, l'enucleazione di una serie di condotte adottate e riconosciute valide entro un determinato contesto sociale. Quanto tutto ciò rimanga lettera morta e sepolta è facile immaginarselo. Lo scacco cui va quasi inevitabilmente incontro è la mera acquisizione passiva di una serie di nozioni - di prescrizioni - che necessitano di essere soltanto applicate all'occorrenza. Il metodo utilitarista qui tratteggiato tende, pertanto, a massimizzare l'effetto, a efficientare ogni istanza educativa in vista della creazione di una società che fa dell'utile collettivo il suo centro di irradiamento.
E se l'educazione non fosse riconducibile esclusivamente al mondo dell'utile? E se l'educazione fosse la formazione diretta alla preservazione di quello spazio personale, privato, che non viene assorbito dalla finalità dell'utile? E se l'educazione fosse proprio questa non perfetta sovrapposizione tra il tutto e l'io? Qui diviene allora paradossalità e non più contraddittorietà perché, a differenza di quest'ultima, la prima è apertura del cerchio e non chiusura. Considerandola paradossalmente possiamo tentare di provare a offrire una risposta al quesito che ci interroga sul destino dell'educazione: forse non ne faremo una scienza, o forse ne faremo la scienza per eccellenza, talmente vasta da lasciare campo aperto a molteplici significazioni. Solo mettendo da parte la serie sterminata di prescrizioni ("si deve fare…" / "non si deve fare…") passiamo accedere al cuore pulsante dell'impegno educativo, che è fatto sì di imposizioni, ma che non si rifiutano mai di essere messe in discussione liberamente.