Economia e lavoro - 07 maggio 2025, 17:35

D.O.P. nel comparto risicolo: un orizzonte possibile per un settore in difficoltà

In un mercato globale sempre più competitivo, le denominazioni di origine ricoprono un ruolo chiave nel valorizzare e rendere riconoscibili le eccellenze locali

In un mercato globale sempre più competitivo, le denominazioni di origine ricoprono un ruolo chiave nel valorizzare e rendere riconoscibili le eccellenze locali. Le etichettature, come quella D.O.P., hanno infatti il duplice scopo di tutelare conoscenze e tecniche produttive tradizionali legate a specifici territori, e contemporaneamente guidare i consumatori verso prodotti con certificate qualità e provenienza.

Per comprendere pienamente il ruolo centrale delle denominazioni di origine si può guardare al comparto risicolo italiano, dove attualmente è presente una sola D.O.P., quella del riso di Baraggia Biellese e Vercellese. In questo settore la scarsità di denominazioni ha generato, nel tempo, una situazione di instabilità e incertezza: infatti, dal momento che nessuna normativa impone l’utilizzo esclusivo del nome di queste varietà solo per le originali, oggi il riso Carnaroli acquistato dai consumatori è nella maggior parte dei casi una varietà simile all’originale e non il Carnaroli propriamente detto.

“Non è il frutto di una pratica sleale o contraria a qualche norma” precisa Silvano Saviolo, dell’Associazione Risicoltori Piemontesi, aderente a Confcooperative Fedagripesca Piemonte. “Utilizzare i nomi delle varietà originali anche per i prodotti che non lo sono è reso possibile dall’assenza di una D.O.P., che tutelerebbe invece le produzioni e porrebbe limiti chiari in tal senso. Se questo incentivo manca, i produttori tendono a concentrarsi sulle varietà non tradizionali, che sono più facili da coltivare e meno onerose, anche sul piano economico”.

E infatti le varietà non originali, molto vicine a queste in termini di gusto e caratteristiche, sono più resistenti agli eventi atmosferici e ai patogeni, e per una ragione specifica: le varietà storiche non solo sono più suscettibili ai danni di funghi o di altri patogeni, ma si caratterizzano anche per una pianta più alta, che tende a piegarsi alle intemperie rendendo quindi più faticosa la raccolta del prodotto.
La scarsa resistenza fa sì che le varietà tradizionali siano poco adatte anche alla coltivazione con metodo biologico, che è ancora molto di nicchia. La richiesta di riso biologico da parte dei consumatori, infatti, non è molto alta e il prezzo di mercato non è quasi mai proporzionato ai rischi di perdita nella coltivazione.

La questione dei prezzi è un tema cruciale per il settore risicolo in generale, che oggi è in una situazione molto delicata: “il mercato paga poco, come dimostra il caso del riso parboiled, prodotto a 50€ al quintale e venduto per €40” commenta Saviolo. Con gli eventi climatici avversi sempre più frequenti, inoltre, le produzioni sono molto difficili: nel 2024, le forti piogge autunnali in Piemonte hanno condizionato negativamente la crescita del prodotto, che una volta raccolto dovrà essiccare nei modi e nei tempi corretti.

In questo contesto di mercato, la cooperazione è certamente uno strumento vincente, come dimostra la preziosa attività dell’Associazione Risicoltori Italiani, una delle poche cooperative risicole ancora attive a livello nazionale. Con quasi 40 anni di attività alle spalle e 148 produttori soci, questa impresa raccoglie risicoltori in particolare da Vercelli, Novara e Biella. Una rete davvero importante, nata e cresciuta per sostenere e valorizzare le produzioni locali, il territorio e la qualità delle varietà tradizionali.

Accanto al lavoro cooperativo, la tutela delle produzioni attraverso le denominazioni di origine deve prendere il proprio posto: solo con la sinergia tra agricoltori e istituzioni, una consapevolezza diffusa tra i consumatori e una comunicazione più efficace si potrà ottenere un maggiore riconoscimento e una tutela della qualità che contraddistingue i prodotti del settore risicolo piemontese.

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