Cronaca - 15 maggio 2025, 10:28

Roberto Marmo scagionato da tutte le accuse per il fallimento della Cantina di Canelli

Dopo un lungo iter processuale, l'ex parlamentare settantatreenne esce indenne dalle imputazioni correlate al fallimento dell'azienda vinicola, avvenuto nel 2014

Roberto Marmo

Una sentenza del Tribunale di Asti ha messo la parola fine alla lunga vicenda giudiziaria che vedeva coinvolto il 73enne Roberto Marmo riguardo al fallimento della Cantina Sociale di Canelli. Marmo, uomo politico "di lungo corso" che tra gli altri ha rivestito gli incarichi di sindaco della sua città, presidente della Provincia di Asti dal 1999 al 2008 e parlamentare dal 2011 al 2013, è stato completamente scagionato dalle accuse più pesanti.

La decisione del tribunale affrontava due questioni principali. In primo luogo è stato assolto con formula piena "per non aver commesso il fatto" dall'accusa relativa alla cessione di un ramo d'azienda per la commercializzazione del marchio "Canei", un'operazione che secondo l'accusa non avrebbe portato benefici alla cantina. In secondo luogo, è stata dichiarata la prescrizione per il capo d'imputazione concernente i compensi da lui percepiti come presidente del consiglio di amministrazione. Sebbene tali retribuzioni (pari a 367 mila euro) fossero state ritenute legittime, erano state incassate in una fase di conclamato dissesto finanziario dell'azienda, sollevando questioni di priorità rispetto agli altri creditori.

La Cantina Sociale di Canelli, nome storico del territorio presso la quale Marmo era stato chiamato nel 2004 per tentare di risollevarne le sorti, era stata dichiarata fallita nel 2014, trascinando con sé un crac milionario. Tuttavia, secondo la procura, già nel 2010 il patrimonio della società si era azzerato.

Al centro del dibattimento vi era, come accennato, un'operazione commerciale ideata dall'allora presidente dopo una visita al Vinitaly, mirata alla commercializzazione di una bevanda a marchio "Canei". Questa strategia includeva l'acquisizione di un ramo d'azienda dalla Pernod Ricard Italia per un importo superiore a 1,4 milioni di euro. La pubblica accusa sosteneva che tale accordo avesse comportato costi ingenti senza produrre i benefici sperati per la cantina. Il tribunale, tuttavia, ha giudicato infondata questa accusa.

Durante il processo, la difesa dell'imputato, sostenuta dall'avvocato Alberto Avidano, aveva evidenziato come l'ex amministratore avesse impiegato risorse personali e familiari sin dal 2004 per far fronte ai pagamenti dei fornitori, in particolare per le uve. Era stato inoltre sottolineato come, sotto la sua gestione, il fatturato dell'azienda avesse registrato un incremento.