Il fantastico Carciofo della Valtiglione sta per arrivare in Sagra. Prima attesissima Sagra, a Costigliole d'Asti nel prossimo fine settimana, 17 e 18 maggio. Sagra che diventa invito di puntata per scoprire l’unicità di un piccolo, grande carciofo, nella bellezza di uno dei più piacevoli borghi dell’Astigiano. Sagra imperdibile per la proposta culinaria a tema della locale Pro Loco e per il mercato produttori, dove farne scorta, a godere, ancora e ancora, di tutta la loro bontà una volta a casa. Goderli crudi, teneri e dolci, goderli tra mille possibili ricette. Due giorni di festa per un grandioso prodotto tipico, antico carciofo, coltivato da una manciata di encomiabili agricoltori, solo in un piccolo areale del Sud Astigiano.
Le sue prime attestazioni sono della fine del XV secolo, contenute in alcune farse di Giovan Giorgio Allione, dove si ricordano i festion d’archicioc, grandi feste a base di carciofi. Nel Seicento era considerato una delle cinque eccellenze di Asti e dintorni, assieme a cardo gobbo, tartufo, vino e, strano, ma vero, melone, come riporta Francesco Agostino Della Chiesa nella sua "Relazione dello stato presente del Piemonte" del 1635. A partire dai più recenti anni Cinquanta la coltura da reddito scompare, a causa della raccolta tardiva e della forte concorrenza di altre varietà. Se è sopravvissuto bisogna solo dire grazie ad un ottuagenario agricoltore di Mombercelli, Egidio Gagliardi, che, mai abbandonata la sua carciofaia, nel donare carducci a diversi produttori della zona, ha permesso a noi tutti di goderne ancora oggi.
Proviamo però a capire da dovi arrivi un carciofo così diverso dagli altri. ll carciofo ha origini mediorientali ed era già conosciuto al tempo degli Egizi sia per scopi fitoterapici che alimentari. Il suo arrivo in Italia si deve agli Etruschi. Sappiamo che i Romani li coltivavano e in cucina li amavano lessati in acqua e vino e conditi con il garum, una sorta di colatura di alici. Poi, praticamente li perdiamo fino a saperli coltivati, dal VII secolo, solo nelle zone di dominazione araba. Arabi che, tra IX e XI secolo, sviluppano in Sicilia una varietà che arriva, assieme a loro, fino in Spagna. Il nome moderno del carciofo, non a caso, proviene dall’arabo ‘karshuf’. Per vedere la sua espansione in tutta Italia si deve però aspettare la seconda metà del '400, portato da Napoli a Firenze, alla corte di Caterina de’ Medici, e da lì in tutto il centro nord italiano, da Filippo Strozzi, mercante, banchiere e politico dalle alterne fortune.
Due storie distanti tra loro che, nel degustare a giorni il Carciofo della Valtiglione, così unico, possono far pensare che le sue origini siano più legate alla permanenza dei Romani e al loro sviluppo agricolo del territorio, piuttosto che a contaminazioni arabe, favorite da commercio basso medioevale. Agli effetti gustativi cambia comunque poco da dove arrivi, ma immaginarlo così antico lo arricchisce d’ulteriore fascino. Fascino, presumo più gustativo che storico, con cui si era fatto conquistare anche Cavour, sostenitore ante litteram dell’odierno marketing territoriale, convinto dell'importanza non solo del territorio e dei suoi prodotti, ma anche della loro promozione. In cucina era di gusti sofisticati, ma decisi. Amava piatti sontuosi, ricchi di sapore e di condimenti. Tra i vari, adorava anche i carciofi, meglio se dell’area astigiana, lessati e passati al forno con burro fuso e tanto parmigiano, insaporiti con una salsa di uova sode, prezzemolo e acciughe. Una vera esplosione di gusto che diventa suggerimento di consumo, una volta passati a farne scorta alla loro prima Sagra.