Un Occhio sul Mondo - 07 giugno 2025, 09:00

"Se l'Ucraina cercava l'escalation forse l'ha trovata"

Il punto di vista di Marcello Bellacicco

Il 19 novembre 2024, Vladimir Putin ha firmato il Decreto di approvazione dei “principi fondamentali della politica statale della Federazione Russa sulla deterrenza nucleare”, documento con cui il Leader di Mosca ha inteso aggiornare la dottrina di impiego del proprio armamento atomico, allineandolo all'attuale situazione geo-strategica.

Questo rinnovamento segue quello del 2020, che aveva introdotto nuove motivazioni che attivavano il diritto russo di utilizzare il potenziale nucleare, di cui le due particolarmente significative erano “ricezione di dati affidabili su un lancio di missili balistici che attaccano il territorio della Federazione Russa e/o dei suoi alleati”, e un attacco, anche con armi convenzionali, contro “siti governativi o militari critici, la cui interruzione comprometterebbe le azioni di risposta della forza nucleare”. Due principi molto chiari e concreti, in cui vengono compresi anche gli alleati che, al momento, comprendono la sola Bielorussia, ma che si potrebbero estendere anche a Cina e Corea del Nord, con tempi che potrebbero essere accelerati da una violenta spiralizzazione dell'attuale situazione, non solo europea.

L'attuale dottrina si esprime in termini più generali, ma si basa su alcuni cardini concettuali che ne delineano comunque l'orientamento, che sembra assolutamente attagliato ai  potenziali scenari strategici che intravedono gli occhi di Putin.

Intanto, allarga la possibilità russa di reazione nucleare anche contro Nazioni “non nucleari” ma sostenute da uno Stato nucleare. Una casistica che, guarda caso, andrebbe proprio bene per un'Ucraina che, pur conducendo operazioni convenzionali, gode del sostegno di almeno 3 Nazioni con capacità nucleari (Francia, Gran Bretagna e USA) le quali, particolare non trascurabile, sono anche Membri della NATO, un'Alleanza che, nel suo concetto operativo, individua nella Russia il principale nemico.

Poi, include la “ricezione di informazioni affidabili su un lancio massiccio di armi di attacco aereo e spaziale e sul loro attraversamento del confine di stato” incluso un attacco da parte di “aerei strategici e tattici, missili da crociera, droni, aerei ipersonici e di altro tipo”. Pertanto, considerando l'utilizzo contro il territorio russo di qualsiasi tipologia di armamento (non solo nucleare) come un motivo legittimo per rispondere con il nucleare, perlomeno tattico, viene enormemente estesa la strategia di reazione di Mosca.

In ultimo, si legge che la Russia si riserva “il diritto di usare le armi nucleari in caso di aggressione ... compreso un attacco in cui l’avversario usando armi convenzionali, crea una minaccia critica alla sovranità nazionale”, ampliando così di fatto lo spettro per una decisione che, sinora, solo due volte è stata assunta nella storia dell'umanità. Peraltro, non si creda che la dottrina americana in tal senso si discosti di molto, perché anch'essa prevede un'ampia discrezionalità politico-presidenziale di intervento.

Quanto sopra Mosca lo ha reso ben noto a tutti alla fine dello scorso anno, per cui il mondo intero è consapevole di quali siano le situazioni che potrebbero, con altissima probabilità, innescare una sua reazione nucleare. Lo sa la NATO, lo sanno gli Stati Uniti e, ancor di più, lo sa l'Ucraina, che ha da poco condotto il più grave attacco nel più profondo del territorio russo. Un'azione che, per peso specifico strategico e possibili conseguenze, non ha precedenti nei tre anni di guerra.

Infatti, anche se può sembrare cinico, non sono tanto i due attentati condotti alle linee ferroviarie a Bryansk e Kursk, o l'attacco al ponte della Crimea che hanno causato la morte ed il ferimento di numerosi civili che pesano sulle sorti del conflitto, quanto piuttosto l'attacco alle tre basi militari nelle lontane regioni di Murmansk, Irkusk e Amur, dove hanno sede i bombardieri della componente strategica dell'Aeronautica russa, preposti all'impiego degli ordigni nucleari.

Le informazioni in merito a quanti e quali velivoli siano stati distrutti o danneggiati sono ovviamente contrastanti, perché si va dai 4/10 confermati dalle Intelligence occidentali ai 41 dichiarati dagli Ucraini. Tuttavia, questo numero ha un'importanza relativa per l'effetto immediato a livello tattico nella guerra in corso, mentre può incidere profondamente per le conseguenze che può determinare negli equilibri strategici, che travalicano i confini europei.

Il colpo inferto alla Russia, anche se fosse relativo ad un solo bombardiere, ha una valenza tanto grande quanto rischiosa, perché ha riguardato una capacità operativa, quella nucleare, che sinora non era entrata in gioco anche per espresso volere di Putin, proprio perché appartiene ad un'altra dimensione bellica, definibile come estrema, che nessuno dotato di un minimo di buon senso dovrebbe pensare anche solo di provocare.

E allora c'é da chiedersi se Zelensky, che sembra aver seguito passo per passo questa operazione da più di un anno, abbia valutato tutti gli aspetti e, soprattutto, le conseguenze, che un atto del genere potrebbe determinare. Conseguenze che, molto probabilmente, potrebbero coinvolgere, direttamente o indirettamente, non solo l'Ucraina, la quale però sembra non essersi posta questo problema, visto che si è guardata bene dall'avvisare anche il suo più importante e vitale alleato. Trump infatti era completamente all'oscuro di tale azione e in questo c'è una logica ucraina perversa e, probabilmente, anche disonesta nei confronti dell'intero Occidente, perchè deriva dalla consapevolezza di Kiev che il Presidente americano, per quanto possa sembrare alterno ed instabile nelle sue posizioni, avrebbe quasi sicuramente posto il veto ad un attacco del  genere, soprattutto alla vigilia di un nuovo tentativo di negoziato a Istanbul.

Ora si tratta di attendere per verificare come Putin reagirà. Di sicuro c'é che lo farà, visto che lo ha preannunciato molto chiaramente al Presidente americano e che, in pratica,  é praticamente costretto a farlo, perchè in gran parte è in gioco la sua stessa credibilità agli stessi occhi dell'opinione pubblica russa, che sta affrontando notevoli sacrifici per questa guerra. Inoltre, deve fare anche i conti con le frange più estremiste dei suoi sostenitori più stretti, che stanno invocando a gran voce addirittura l'impiego ritorsivo dell'arma nucleare.

Per quanto riguarda l'ingenza del danno provocato dall'attacco ucraino, si tratta di vedere di quanto ha realmente compromesso la capacità operativa delle Forze nucleari russe. Per la loro specifica tipologia, i velivoli distrutti o seriamente danneggiati non sono facilmente e rapidamente sostituibili, per cui Putin, per non intaccare il suo potenziale, potrebbe essere costretto ad individuare soluzioni alternative, magari ricorrendo al soccorso di Paesi Alleati o amici. E l'unica in possesso di bombardieri strategici tecnicamente compatibili con l'armamento nucleare di Mosca è la Cina, la quale è dotata dello Xian H-6, aereo non proprio moderno, ma costruito proprio su licenza russa. Peraltro, tale velivolo sarà  prossimamente sostituito dal nuovissimo Xian-H 20, bombardiere strategico stealth di ultima generazione, che potrebbe fare al caso di Putin.

In merito all'assenso cinese, potrebbero non esserci particolari problemi, sia per quanto recentemente affermato da Xi Jinping a Mosca, circa il consolidamento del reciproco supporto con Mosca sia per due aspetti di natura strategica molto importanti per Pechino. Il primo riguarda il suo estremo interesse a non indebolire la capacità nucleare russa, unica in grado di contrapporsi a quella americana. Il secondo è relativo all'interoperabilità operativa al più alto livello, quello nucleare, che la Russia e la Cina potrebbero realizzare con il connubio tra il velivolo strategico del Dragone e l'armamento nucleare dell'Orso. Un binomio letale che, probabilmente, neppure le due Nazioni avevano mai immaginato di conseguire in tempi così ristretti, ma che costituirebbe un ulteriore serissimo problema per gli equilibri mondiali, compresi quelli dell'Indo-Pacifico.

Marcello Bellacicco