Giovedì scorso, la quarta manche di "Caccia al refuso" ha trovato, dopo pochi minuti dalla pubblicazione, una vincitrice: Silvana Ferraris, di Asti. Lettrice non da poco, per quarant’anni a capo del servizio manifestazioni del Comune di Asti, anima pubblica della complessa macchina organizzativa del Palio, fino al febbraio 2017, con avi paterni provenienti da Montemagno, dove, per quindici anni, è stata vicesindaco. Suo luogo del cuore, e non solo suo.
A Montemagno ci sono ripassato da poco, domenica 25 maggio per esattezza, in occasione della storica Festa del Pane, conosciuta come “Pane al Pane”. Un omaggio alla tradizione della grissia, il pane tipico, simbolo della cultura contadina locale. Pane accompagnato da salumi, formaggi, miele e cioccolato, tra un bel numero di stand allestiti nel centro storico e attività tradizionali nel suggestivo parco del castello, cuore del borgo e, occasionalmente, della meglio gastronomia da Pro Loco, Ricordo ancora, in tutti i sensi, la bruschetta e soma della pro loco di Montemagno, l’insalata di bollito della Sezione Alpini di Montemagno, il crostone di pane con acciughe e bagnetto del Rione Cattedrale di Asti, ospite d’evento, assieme alla pro Loco di Refrancore con i suoi Finocchini. abbinati ad un libidinoso semifreddo allo zabaione.
Giornata speciale con tanto di castello aperto e visitabile. Non è così usuale entrare a scoprire tutto l'antico fascino del castello di Montemagno, proprietà privata, le cui prime notizie risalgono al 972. Castello dei Calvi di Bergolo, in cui soggiornò più volte, nel XII secolo, l'imperatore Federico I Barbarossa. Imponente maniero che domina l’abitato e caratterizza fortemente, con il suo coronamento merlato di tipo ghibellino, il paesaggio circostante. Affascinante non poco il contrasto stilistico tra gli esterni, che mantengono le sembianze d’una fortezza trecentesca e gli ambienti interni, in gran parte riplasmati nel Settecento. Lodovico Vergano, uno degli storici più illustri dell’Astigiano, mancato nel 1973 a soli sessantuno anni, da una visita al castello, ricordava che “...il passare attraverso le sale, i saloni, le stanze che si susseguono in numero notevole, la vista dei mobili preziosi, diversi di stili, di dipinti di varia epoca, di oggetti rari, di stampe, di affreschi alle pareti e alle volte, alcuni del Pasqualini, rimette l'animo al sereno.”.
Quel giorno non ho avuto tempo, troppo preso da succulenze panificatorie, ma, poco discosti dall’abitato, su un’altura accanto al cimitero, sorgono invece i suggestivi ruderi della chiesa romanica dei Santi Vittore e Corona, originaria dell’XI secolo. Quanto sopravvive dell’edificio, campanile e abside, è pregevole testimonianza da non perdersi, tra i tipici effetti cromatci dall’alternanza di pietra arenaria e mattoni, la sopraelevazione della zona presbiteriale e i ricordi del ricco apparato scultoreo e ornamentale.
Sono riuscito però ad abbandonare, temporaneamente, acciughe e bagnetto, di cui vado matto, per fare un bel giro nel caratteristico reticolo viario del ricetto fortificato, disposto “a mandorla” ai piedi del castello, e a rimirare, ancora una volta, la chiesa di Santa Maria della Cava con i suoi pregevoli affreschi, datati tra il 1491 e il primo Cinquecento. Della Cava, quale derivazione da una antica strada romana che, fin nell’alto medioevo, collegava Asti e Pavia. E poi l’ariosa piazza San Martino, dominata dalla scenografica scalea barocca, in pietra di Cumiana e ispirata nel disegno alla celebre scalinata di piazza di Spagna a Roma, della parrocchiale dell’Assunta, in precedenza cappella gentilizia della famiglia Montalero. Parrocchiale, riedificata nel 1730 e ampliata nella prima metà dell’Ottocento, caratterizzata dall’elegante pronao circolare con dieci grandi colonne ioniche, aggiunto nel 1776 su disegno dell’architetto Francesco Valeriano Dellala di Beinasco.
Alla prima occasione decidiate di immergervi nelle tante attrattive del posto, messo in visto l’importante e vario patrimonio architettonico e la dolcezza del paesaggio collinare, dedicatevi al Ruchè, vitigno tradizionalmente coltivato in questo lembo di Piemonte. Docg dal 2010. Vino della festa che presenta affinità con il Gamay francese e derivazioni dal Cari, uva aromatica a bacca nera, attestata sulla collina torinese già al principio del Seicento e tutt’oggi presente, Lo ipotizza Gianluigi Bera e se lo ipotizza Gian io ci credo.