Storie di Orgoglio Astigiano - 28 giugno 2025, 12:00

Storie di Orgoglio Astigiano. Marco Gobetti: "Mollai il posto fisso per fare il mio Teatro Stabile di Strada. Prima avevo tutto, ma non la libertà"

Drammaturgo, attore e regista, ha fondato la compagnia teatrale "Lo stagno di Goethe". Ai giovani dice: "Contaminate il sistema da dentro e abbiate sempre memoria delle difficoltà trascorse"

Il mondo di Marco

Per accompagnarti nella lettura di questa intervista ti consiglio la canzone This bitter earth / On the Nature of daylight, di Max Richter, contenuta nella playlist "Orgoglio Astigiano" su Spotify

La prima stretta di mano con Marco Gobetti avviene a Villadeati, ma i nostri 'posti' sono al contrario. Lui tra il pubblico e io sul palco, a portare in scena uno spettacolo teatrale con amici in comune. Al termine della serata dico a Marco che mi piacerebbe intervistarlo. Manteniamo la promessa. 

Marco è nato a Torino nel 1967, ma da qualche tempo vive a Pino d'Asti. Di mestiere fa il drammaturgo, l'attore e il regista. I tentacoli della sua arte mi catturano amabilmente. E io non intendo fare resistenza. 

Marco, anche a te faccio la domanda di rito. Che rapporto ti lega all'Astigiano?

Un grande affetto. Ho passato la mia infanzia a Villanova d’Asti, dove viveva la mia famiglia. Ho vissuto a Torino per tanti anni e da qualche tempo sono tornato nell'Astigiano. Prima ad Albugnano e poi a Pino d'Asti. E in queste belle terre ho cercato di creare nuovi meccanismi di produzione culturale. L’Astigiano mi sembra una terra fertile, come opportunità e bisogni: c’è un tessuto sociale molto interessante, che offre grandi possibilità di innovazione, anche alla luce dei flussi migratori che costituiscono il cuore di molti paesi. Abbiamo dei microcosmi dove l’integrazione tra culture diverse ha una sua purezza profonda. Sono affascinato, ad esempio, dal caso di Albugnano, dove ha sede la nostra compagnia teatrale "Lo stagno di Goethe". Ebbene, qui c’è un attaccamento alle tradizioni notevole e la lingua è una cartina di tornasole. Le quattro lingue principali sono infatti la fotografia di quel microcosmo di cui si parlava prima: piemontese, italiano, spagnolo e rumeno. L'Astigiano regala grandi opportunità di arricchimento personale, anche da teatrante.

Compagnia teatrale dici... Quando incontri il teatro? C'è stato un colpo di fulmine?

In realtà il teatro mi appassiona fin dai tempi del Liceo Classico e all'epoca era in nuce, non era ancora minimamente esplosa. Lo farà a 25 anni, per cui anche abbastanza tardi. Ho frequentato la scuola di recitazione a Torino. Sentivo il bisogno personale di esprimermi in quel modo, attraverso il teatro. Un'arte particolare, che avviene solo grazie all’incontro con l’altro, in uno spazio condiviso: una disciplina artigianale e non industriale, che non produce prodotti, ma avvenimenti e incontri. Mi è sempre sembrata un'opportunità di crescita personale. Per di più ero un ragazzo molto timido: il teatro era davvero l'unico modo per comunicare in maniera profonda. E poi ho scoperto la potenzialità sociale e politica del teatro.

Prima di parlare del tuo teatro, ti chiedo... Che mestiere facevi prima di vivere di arte?

Sono arrivato al teatro attraverso altri mestieri e ho iniziato a recitare da dilettante nel tempo libero. Solo nel 2005 ho iniziato a vivere di teatro, sia con la mia compagnia che da attore scritturato. Dopo il Liceo mi ero iscritto alla facoltà di Lettere antiche, indirizzo orientale, una mia grande passione. Il problema è che io non ho mai sopportato le costrizioni e il sistema scolastico, in qualche modo, lo è sempre stato per me. Mi riferisco al suo meccanismo di giudizio opprimente, ad esempio. Ecco, quindi sono arrivato a provare una disaffezione verso il mondo accademico, nonostante fossi appassionato di quelle lingue e del greco specialmente. Avevo bisogno d'altro e quindi avevo deciso di mollare l'università. Di giorno facevo il garzone di muratori e di elettricisti e verso sera davo ripetizioni di greco e di latino. Avevo un conflitto dentro. E poi ho lavorato per 13 anni in una fabbrica di imballaggi e spedizioni. Nel tempo libero ho iniziato a fare teatro. Era il 1992. 

Immagino poi che tu ti sia svegliato un mattino e abbia pronunciato le parole magiche... "Io mi licenzio"

Sì, esatto. Quello è stato il mio click mentale. Il teatro fatto nei ritagli di tempo era già un esercizio di libertà, ma stavo capendo che la libertà attraverso il teatro poteva essere indotta e suggerita anche ad altri, per via di quel ruolo magico e sociale che ha intrinsecamente questa disciplina. La fabbrica era un ambiente in cui vedevo libertà negate, speranze, libertà conquistate, rapporti umani o a volte disumani. Era un mondo che mi suggeriva dinamiche utili per parlare a tutti quanti attraverso il teatro. Ed è stato proprio lì che ho creato il mio primo monologo, che aveva come tema principale il mobbing. Ai tempi mi avevano proposto di fare una tournée da scritturato per tre mesi. E decido di licenziarmi. 

Quindi ti licenzi da un indeterminato sapendo di avere davanti tre mesi di lavoro e potenzialmente più niente?

Esatto. Una follia. Avevo un tempo indeterminato e lavoravo in ufficio, a un chilometro da casa. Ho abbandonato un lavoro sicuro per la libertà. La mia libertà. Quei tre mesi erano un volo verso l’ignoto. Così stavo iniziando a fare il mio teatro, ma ancora non lo sapevo. 

Mi racconti la filosofia che sta dietro al tuo Teatro Stabile di Strada?

Penso che il teatro sia uno degli ultimi spazi di libertà reale che ci siano concessi, non per benevolenza di altri, ma solo perché non è possibile castrarne le possibilità se non censurandolo totalmente. Lo scambio di empatia biunivoco non è sondabile, mappabile o inquadrabile in niente. Non è amministrabile, non è sfruttabile e non è pilotabile. Il teatro deve tentare di riscoprire la sua natura autentica, magica e sociale valorizzando la condivisione dello stesso spazio col pubblico. L’attore è disposto a gettarsi in una dimensione avventurosa, con una grande capacità all’abbandono. Tutto può accadere e lo spettatore dovrebbe essere collaboratore immaginifico e non semplice voyeur. Lo spettacolo, si dice, deve avvenire nella testa degli spettatori. Più si danno messaggi univoci e meno possibilità immaginifiche ci saranno. Sentivo la necessità di dare una dimensione universale, di parlare all’immaginario collettivo, di tenere uno guardo largo sul mondo. Da qui è nato il mio progetto di teatro su strada, in mezzo e immerso tra la gente. 

E il momento più emozionante del tuo teatro?

A parte le sensazioni provate nei grandi teatri, ti direi quando ero solo, seduto su un marciapiede del lungomare toscano a metà degli anni Novanta. Provavo a fare il mio teatro di prosa su strada. Ero stanco e non si era fermato nessuno. Avevo il mio cappello con i soldi per le offerte. Vuoto, perché il progetto non aveva funzionato. Ero disperato. In quel momento ho sentito cadere una moneta nel cappello. E poi un'altra e un'altra ancora. Mi avevano scambiato per un uomo di strada e mi stavano lasciando l'elemosina. Ho interpretato quel ruolo per un’ora: le persone stavano vedendo che mi stava davvero accadendo qualcosa, che provavo emozioni reali. E poi, qualche giorno dopo, era successa una cosa che stava confermando tutto. Ero per strada e non mi ricordavo più niente del copione. Avevo il terrore in volto, e in quel momento la mia paura stava facendo fermare un sacco di gente, incuriosita. I passanti si chiedevano "Ma cosa sta succedendo a quell'uomo?". Io ero ciò che stavo interpretando, non lo stavo solo descrivendo. Ecco, il quel momento ho capito che agli attori deve capitare qualcosa. Qualcosa di reale. 

E le difficoltà? Come si superano nel linguaggio dell'arte?

Vedendo l'ostacolo come uno stimolo. Ho avuto tanti momenti bui. È la vita, soprattutto quando non ottieni l'attenzione che speravi e le istituzioni non ti guardano. Quello ha creato in me molto scoramento. E poi quando pensi di non star facendo giusto, non abbastanza, soprattutto se si ha l’idea del teatro come elemento sociale. L'importante è trasformare le difficoltà in opportunità e questo penso sia il segreto per stimolare la propria creatività e quella degli altri. Anche la memoria della difficoltà trascorsa può diventare arricchente: è fondamentale conservarla. Non possiamo prescindere da ciò che ci accade attorno, che può diventare arte. 

Bombe pacifiste: noi veniamo dalla Strada 

Il modo in cui Marco si esprime è lapidario. Il suo linguaggio ha un potere disarmante. Le sue parole sono come bombe pacifiste, che continuano a esplodere dolcemente tra lui, me e la tazza di caffè che ci separa. Ha dannatamente ragione quando dice che bisogna custodire la memoria della difficoltà passata. Perché è da lì che veniamo, noi. Da quella zona grigia, da quel dolore, da quella ferita. Noi veniamo dalla Strada. 

E la tua famiglia? Come ha vissuto le tue scelte da 'outsider'?

Papà Cesare era il mio unico riferimento. Ho perso mamma da bambino. Pur avendo una mentalità molto lontana dalla mia, però, ha sempre avuto una grande fiducia in me. E poi nonna Carolina era una contadina di una saggezza infinita. Ha fatto le veci di una mamma scomparsa troppo in fretta. Pensa che non era mai andata via da frazione Gianassi a Villanova d'Asti. Ebbene, lei aveva sempre l'imprimatur di sostenermi, nonostante la paura di altri parenti. In dialetto diceva sempre "Marco ha scelto così. E se ha scelto così, allora va bene così". Con poche parole mi ha insegnato molto. La famiglia mi ha sempre appoggiato. 

Un consiglio ai giovani affascinati dalle strade alternative come la tua?

Osate con lucidità e coraggio e non abbiate paura di compromettervi. Si dice che l'attore è uno che si compromette. Non abbiate paura di andare contro logiche consunte o imposte, il lavoro dell’attore è avventuroso e occorre creare i propri spazi, avere la forza di portare nuove idee di teatro e non appoggiarsi a quelle predominanti. Uscire dalle logiche di mercato significa dare nuove possibilità a se stessi e agli altri. Non è questione di creare nicchie cieche contro il sistema, ma di contaminare il sistema, agire da dentro. Siate umili, chi contamina deve accettare di essere contaminato. Non negando la sincerità delle idee altrui, perché anche in un teatro mercificato ci può essere una sincerità di fondo. Basta che ci sia spazio per tutti.

Perché chiamare la compagnia "Lo stagno di Goethe"?

"Lo stagno di Goethe" nasce nel 2007 da un'altra compagnia, in realtà, che si chiamava "Il Barrito degli Angeli". È una citazione del romanzo di formazione di Goethe, l'idea di vedere il teatro come stagno, dove non ci deve essere solo acqua limpida, ma anche quella melma sottostante che però serve a dipingere un sistema armonico. Lo sporco e il pulito che, insieme, nutrono tutti. Quel posto in cui non si vive solo di perfezione. Ad Albugnano da qualche anno è nato il "Quadila Festival", dove io e molti altri della compagnia e tante realtà proviamo a mettere in atto questa poetica. Il teatro che incontra i saperi. C’è un incontro di arti e teatri con discipline umane. E poi abbiamo tante altre attività: nuovi spettacoli, progetti laboratoriali (lezioni recitate per veicolare discipline nelle scuole e non solo per vitalizzare la didattica). La compagnia va a cercare il pubblico, non lo aspetta solo nei luoghi deputati. L’ascolto per noi non è un diritto, ma una conquista.

A cosa stai lavorando?

Ho tante progettualità in corso. Una di queste riguarda il teatro in lingua piemontese, che è uno dei filoni che ho percorso in questi anni. Il piemontese come ricerca linguistica, anche per chi non lo conosce. Un riuso del piemontese che non sia meramente nostalgico e folcloristico, ma come qualcosa che porti a nuovi immaginari. Sarà un progetto che riguarderà "Le miserie 'd Monsù Travet", di Bersezio. 

Chi è Marco Gobetti 

Drammaturgo, attore e regista, coniuga da sempre l’attività di prosa nei teatri a quella su strada e sviluppa negli anni una precisa ma mobile idea di teatro, tesa a indagarne ed esperirne la natura più autentica, magica e sociale. Dal 1995 al 2000 recita nei mesi estivi sui lungomari toscani e partecipa a più edizioni del Buskers Festival di Pelago e del Ferrara Buskers Festival. Nel 1997, a Torino, è fra gli interpreti de “La confessione” per la regia di Walter Manfrè.

Nel 1998, insieme ad altri artisti (musicisti, pittori, video-makers) fonda la compagnia “Il Barrito degli Angeli” che realizzerà, fra tutti, lo spettacolo “La luna, bisogna crederci per forza” (da Cesare Pavese) e il progetto “Stanza Teatrale” presso il CSA Askatasuna.

Nei primi anni 2000, lanciandone il manifesto, inventa il Teatro Stabile di Strada con cui propone su strada – in modo autonomo, organizzato e frazionatamente stanziale – gli stessi spettacoli presentati nei circuiti istituzionali: è il primo di una serie di progetti con i quali mirerà, negli anni successivi, a contaminare il sistema teatrale, in primis trasformando l’intero processo “produttivo” in meccanismo esso stesso spettacolare.

Nel 2007 riceve dalla Regione Piemonte il “Premio per la valorizzazione delle espressioni artistiche di strada” e fonda la Compagnia Marco Gobetti, che recentemente ha mutato il suo nome ne Lo stagno di Goethe. A partire dal 2010, insieme allo storico Leonardo Casalino, avvia un’azione tesa a sperimentare nuove modalità per il racconto orale della storia, realizzando progetti quali “Lezioni recitate” e “Raccontare la Repubblica” (comprensivo dell’omonimo laboratorio storico-teatrale di creazione pubblica per la cittadinanza e dello spettacolo “Carlo, Ettore, Maria e la Repubblica – Storia d’Italia dal 1945 a oggi”, tratto dal volume “Raccontare la Repubblica – Storia italiana dal 1945 a oggi: sette testi da interpretare a voce”); oltre a “Riprendo la storia”, grazie al quale nasceranno gli spettacoli “Gaddus alla Guerra Grande – monologo per un attore e un mimo” (tratto da “Diario di guerra e di prigionia” di C.E. Gadda) e “José Domingo Molas: non vivevo sulla luna” e si aggiungeranno “Lezioni recitate” di svariate discipline: archeologia, antropologia, letteratura. 

Nel 2016 e nel 2017 è diretto da Leo Muscato in “Come vi piace” di W. Shakespeare e “Il nome della rosa” da U. Eco, produzioni del Teatro Stabile di Torino; prima, per la regia di Leo Muscato, recita in “Terra dei miracoli”, “Io e Matteo”, “Romeo & Giulietta – Nati sotto contraria stella”; e, nelle stagioni 2023-/24 e 24/25, recita ne "L'ispettore generale" di Gogol, ancora con la regia di Leo Muscato, per una produzione del Teatro Stabile di Bolzano.

Nel 2019 debutta a Grenoble con “130 repliche de Il nome della rosa – Teatro di riciclo®️”.

Fra gli altri suoi testi e spettacoli: “Amore assalì il bestiame”, “Il pasto”, “Voglio un pappagallo – Matthew Smith: il p(r)ezzo della vita di un uomo”, “In-Ec-Cesso – Una bomba per cintura”, “La memoria non è mai cimitero – I meccanismi della Shoah nella storia dell’uomo”, “Cristo muore in fabbrica: è solo un altro incidente”, “L’anciuvé suta sal”, “Bestiame etimologico”, “1863-1992 | Di Giovanni in oltre – Storia d’Italia e di persone da Giovanni Corrao a Giovanni Falcone”, “La tragedia della libertà”, “Un carnevale per Sole e Baleno” (premio NdN 2014), “Gli epigoni”; “Lo stagno”, “Tempesta 1944-45 – Nino racconta la Resistenza di Mario Costa”, “Di come precipita il doppio di un migrante ovvero L’anciuvé suta prucess”, “José Domingo Molas: non vivevo sulla luna”, “Cesare Pavese: la luna, bisogna crederci per forza – Teatro di riciclo®️”, "Netamiau perché sei morta - Ingiunzione a una bambina".

Fra i progetti: “I Santi sulla strada”, “Dove sono nato non lo so – Una settimana di lettura accampata tra i filari in occasione del centesimo anniversario della nascita di Cesare Pavese”, “La vera storia di Hilario Halubras”, “Metamorfosi su strada – Lugano, 3 settembre 2011”, “Lezioni recitate”, “Il comico e la vita – Da un saggio del filosofo Carlo Sini nasce una creazione pubblica”, “Il pensiero politico: Cafiero e Kropotkin, letture integrali in vetrina”; “Teatro Stabile di Strada”, “Azionate Empatie Urbane®️”, “Nuove oralità”, “La Tragedia della Libertà – laboratorio di creazione pubblica”, “Dal Monferrato al mondo passando per l’Etiopia”, “Festa dell’umanità”, “Teatrosustrada.2015”, “Teatrosustrada.2016”, “Teatrosustrada.2017”, “Teatrosustrada.2018/19”, “Gian Renzo Morteo – Fare a pezzi il teatro | Teatrosustrada.2019/20, Rivoluzioni!” | Teatrosustrada.2020”, “Teatrosustrada.2021 – prosa su strada per un teatro solidale”, “Teatro di riciclo®️”, “Ex libris juke box”, “Strad-rama”, “QUADILA Festival”.

Oltre che in teatro con Leo Muscato (“Terra dei miracoli”, “Io e Matteo”, “Romeo & Giulietta – Nati sotto contraria stella”, “Come vi piace”, “Il nome della Rosa”, "L'ispettore generale"), ha lavorato, fra tutti, nel cinema con Giuliano Montaldo (I demoni di San Pietroburgo) e in radio con Sergio Ferrentino e Alberto Gozzi.

È del 2020 il suo manifesto «Quali attori e quali “teatri”? Storyplaying, per una contaminazione possibile. Con suggestioni da C. Bene, G. Moretti, G.R. Morteo»(https://lostagnodigoethe.com/storyplaying/).

Il mondo di Marco. Ph B. Turletti

Il mondo di Marco

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Il mondo di Marco. Ph A. Tambone

Il mondo di Marco. Ph D.M. Servetti

Il mondo di Marco. Ph Monique Erba Robin

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Il mondo di Marco. Ph Emanuele Pensavalle

Il mondo di Marco. Ph Andrea Semplici

Il mondo di Marco. Ph Andrea Semplici

Il mondo di Marco. Ph Beppe Turletti

Il mondo di Marco. Ph Irene Ottino


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Orgoglio Astigiano è un progetto che vuole portare alla luce storie di vita e di talenti del territorio, che trova il suo spazio nella rubrica settimanale “Storie di Orgoglio Astigiano”, a cura della giornalista Elisabetta Testa.

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