io_viaggio_leggero - 09 agosto 2025, 07:00

I viaggi "di ritorno": tornare nello stesso Paese a distanza di tempo

In questa rubrica troverete anche approfondimenti e riflessioni sul mondo Travel. Pensieri a voce alta e considerazioni su nuovi approcci e nuovi orizzonti; nel terzo millennio anche il modo di viaggiare è in continua mutazione.

Ci sono viaggi dove non si parte per scoprire qualcosa di nuovo, ma per ritrovare. Si torna in un luogo conosciuto, e lo si attraversa con occhi nuovi, come se ci si guardasse allo specchio dopo qualche anno.

Un biglietto comprato per rivedere un posto già vissuto. Spazi lasciati in sospeso, senza il tempo o la lucidità per assaporarli davvero. O semplicemente, luoghi attraversati in un’altra stagione della vita, oggi da riscoprire. Nei viaggi di ritorno non si cerca lo stupore. Non si parte verso l’ignoto, ma si segue la direzione di qualcosa di noto. Un territorio già percorso, che attende uno sguardo rinnovato. Non c’è solo nostalgia, piuttosto un’esigenza: verificare cosa è cambiato, cosa resiste, cosa parla ancora. A volte è un paesaggio che riaffiora, un sapore indimenticabile, un’immagine nei pensieri. Così nasce il desiderio di tornare in un luogo, magari per osservare meglio o per completare un itinerario. Perché spesso i posti sono stati attraversati troppo in fretta, oppure in momenti in cui mancava la consapevolezza per viverli davvero. La seconda volta non porta sorprese, ma offre opportunità. Mostra ciò che era nascosto. È un confronto silenzioso tra il ricordo e ciò che si ha di fronte: le strade sembrano conosciute, i colori simili. Ma le atmosfere, ora, rivelano sfumature prima invisibili. In certi casi, invece, il cambiamento è evidente, perché il “grande turismo” ha trasformato molte dinamiche locali. I centri storici sono diventati spazi filtrati per lo sguardo del visitatore.

In Messico, ad esempio, molti luoghi un tempo autentici e popolari hanno seguito questa traiettoria. Siti storici si sono piegati al consumo, per accogliere un flusso costante e internazionale. Posti straordinari esistono ancora, ma non svolgono più lo stesso ruolo: sono diventati scenografie. Altrove, la trasformazione è più sottile. In Brasile, pur tra cambiamenti evidenti, si percepisce ancora un’energia urbana genuina. I contrasti si sono accentuati, ma la complessità non è stata completamente semplificata. Le città continuano a offrire atmosfere da decifrare, gesti quotidiani che resistono alla spettacolarizzazione. Ci sono luoghi che sembrano avere rallentato il ritmo del cambiamento. Cuba, in molte sue parti, si muove ancora con un tempo proprio. Il presente ha lasciato tracce — tecnologie, nuove strutture — ma non ha stravolto il respiro profondo dell’isola. Le strade conservano una musicalità unica e un fascino decadente. I riti quotidiani si ripetono senza fretta. In questo caso, il ritorno non serve a osservare cosa si è modificato, ma a riconoscere ciò che è rimasto. Ed è in quello scarto che si riflette anche il proprio cambiamento interiore.

I viaggi di ritorno non offrono l’ebbrezza della scoperta, ma una possibilità diversa: comprendere meglio. A volte per colmare un vuoto, per sistemare un dettaglio irrisolto. Un’esperienza lasciata a metà, una sensazione d’incompiuto. Tornare diventa un modo per chiudere un cerchio o aggiungere ciò che mancava. C’è anche un altro tipo di ritorno, meno legato alla memoria e più alla curiosità. Il desiderio non è tanto quello di ritrovare, quanto di guardare dell’altro. Lo scenario è simile, ma l’esperienza è nuova. Ci sono poi luoghi che, rivisti, non emozionano più. E non è un fallimento. Quello che si era vissuto era autentico, ma appartenente a un tempo preciso. Alcune esperienze non si posso ripetere. Fortunatamente, ci sono ritorni che sanno ancora assolutamente emozionare. Sono posti in cui ci si sente a casa, e questo li rende speciali: toccano corde profonde.

Molti viaggiatori preferiscono l’altrove. Il nuovo attrae più del ricordo. Per alcuni, tornare in un Paese già visitato è un’occasione persa. Il mondo è immenso e il tempo non basta per esplorarlo tutto. Meglio guardare avanti, dicono, che voltarsi indietro. Il “già visto” perde fascino, la sorpresa svanisce, la novità chiama con più forza. È la scelta più comune. C’è chi non ripete mai una destinazione, convinto che ogni passo debba condurre verso l’inedito. Eppure, i ritorni sono spesso i viaggi più autentici. Non regalano l’eccezionale, ma qualcosa di più profondo. Non si cerca di rivivere le stesse emozioni: si torna per capire se hanno lasciato traccia. Ci sono strade che, percorse una seconda volta, sembrano più strette. Ma spesso il punto non è il luogo. È il tempo trascorso nel mondo, e quello che è passato dentro di noi. Ci si accorge che certi dettagli — un panorama, un odore, un gesto — non erano mai stati davvero notati. Ora emergono con forza, perché il filtro dell’inaspettato è caduto. In fondo, se si cerca profondità, un Paese va rivisto. Solo tornando si smette di osservare da fuori e si comincia a comprendere davvero. La prima volta affascina, sfugge, abbaglia. La seconda scava, mostra cosa c’è sotto la superficie. È lì che il viaggio cambia natura: da esplorazione a relazione.

I viaggi di ritorno non sono necessariamente una replica. Non riportano soltanto al passato, ma aprono uno spazio di lettura più ampio. Si torna per completare, per capire se qualcosa è cambiato. A volte, si torna senza un motivo preciso ma con maggiore consapevolezza.

Marco Di Masci