Cultura e tempo libero - 23 ottobre 2025, 07:20

Asti, bivi e un mondo che si sposta mentre guardi altrove: a Libri in Nizza una “Digressione” con Gian Marco Griffi [Intervista]

Quando ogni scelta e ogni dettaglio riscrivono l'esistenza, tra ucronia, fantastico ed esperienze che insegnano come la realtà sia più complessa di quanto crediamo

Dov’è questa realtà? Potrebbe essere in ritardo di un paio di ore, o essersi semplicemente spostata di qualche metro, più in là, verso la tangenziale di Asti. Così, dal puro viaggio della mente nascono universi nuovi, paralleli, tenuti in piedi da una enorme “Digressione”.

Proprio su questo abbiamo chiacchierato con Gian Marco Griffi, ospite a “Libri in Nizza” domenica 26 ottobre, dove porterà con sé un’idea di realtà come esperimento imperfetto, una materia cangiante, fatta di scelte, possibilità, sguardi. Vite parallele che, nel suo romanzo, analizzano il reale, anche se, nel frattempo,  si è già spostato qualche isolato più in là, nella vita di Arturo Saragat tra un rimorso che condiziona una vita intera, una Asti al centro del mondo e Mussolini che alleva asini a Pantelleria.


(Gian Marco Griffi, 2024)

Nel labirinto della realtà: la digressione come strumento per capire il presente

A “Libri in Nizza” presenterai il tuo romanzo “Digressione”. L’elemento del libro è fondamentale nella storia e per i protagonisti. Può essere immaginato come un gioco di specchi, come se il lettore sperimentasse ciò che prova il protagonista mentre legge quel libro che lo accompagna nella vita?

Perché no, certo, è anche un modo - sì, una buona, anzi un’ottima lettura - nel senso che, così come i due protagonisti del romanzo, se non altro Guillermo, quello messicano, e poi Arturo, naturalmente in parallelo (anche se a distanza nel libro, a distanza di, non so, vent’anni o giù di lì, nella loro realtà), tendono a ricostruire la storia delle persone che hanno posseduto la “Historia poética y pintoresca de los ferrocarriles en México”, allo stesso modo il lettore ricostruisce, tramite la lettura del romanzo, nella digressione, la vita sia di Guillermo che di Arturo, e allo stesso tempo quella delle altre persone, degli altri personaggi che hanno posseduto il libro e non solo. Quindi sì, è una cosa abbastanza semplice, ma anche qualcosa che non era quasi mai venuto fuori. È una considerazione che nessuno aveva mai fatto, anche se io questa cosa ce l’avevo ovviamente in mente.

In questo senso quanto la digressione influenza la nostra percezione della realtà?

La nostra esistenza è estremamente digressiva: continuamente apriamo e chiudiamo digressioni nel corso della nostra giornata e della nostra vita. Talvolta, come dice uno dei protagonisti, Calixto Escalera, la nostra vita dall’inizio alla fine è una digressione, solo che non sappiamo bene di che cosa si tratti. Non sappiamo veramente quale sia l’argomento e, di conseguenza, sono convinto che quella che chiamiamo realtà sia semplicemente una delle tante forme possibili della realtà che noi percepiamo. Una delle cose a cui mi affido nel romanzo è l’idea della meccanica quantistica, della fisica quantistica, che è qualcosa di apparentemente inspiegabile, di apparentemente insensato, eppure esiste, sappiamo che c’è, anche se non riusciamo a spiegarla bene. È un principio di indeterminazione: qualcosa che osserviamo cambia solo per il fatto che lo stiamo osservando. E così avviene anche per la realtà.

La letteratura e tante altre esperienze, come l’amore, ad esempio, ci insegnano che la realtà è spesso più complessa di come la immaginiamo. C’è anche qualcosa che va oltre la nostra semplice percezione, oltre la scienza stessa. Il mio approccio verso queste cose è dubbioso, ma non scettico in modo cieco: non penso che qualcosa non esista solo perché non riesco a dimostrarla. Ecco cos’è la realtà: qualcosa che possiamo anche costruirci, e che spesso ci costruiamo.

Questo è anche il “gioco”, per così dire, della letteratura e in particolare del fantastico: un modo per osservare e analizzare la realtà da plurimi punti di vista.
 

Da plurimi punti di vista e non solo, ma anche tentando di affrontare, come provo a fare in “Digressione” e come hanno provato a fare tanti altri, il bivio temporale che stiamo attraversando, diverso da quello che la maggior parte di noi considera l'unica modalità possibile di vivere il tempo, amplificando una tendenza che osservo nella realtà, ovvero il fatto che c'è una deriva suprematista, razzista e fascista tuttora in corso, che è ben peggiore. Io credo che i neofascisti, i suprematisti, i razzisti, gli xenofobi di oggi siano molto più pericolosi di quelli del periodo del fascismo, perché allora molti erano fascisti semplicemente perché dovevano esserlo, mentre oggi essere fascisti o suprematisti è una chiara convinzione.

Ahimè, io vedo che la tendenza è questa, e quindi, quando affronto la realtà alternativa di un vivere nel tempo in cui Mussolini non è morto, nel quale il fascismo è una percezione molto più annacquata rispetto a quella che fortunatamente c’è oggi - nonostante l’Italia sia comunque divisa -, in quel momento sto analizzando la nostra realtà. È per questo che il fantastico, alla fine, diventa sempre un’analisi della realtà. Perché ha una vicinanza con il verismo proprio che ci permette di conoscere e indagare la nostra realtà, magari per iperbole, magari per assurdo, ma sempre con questo intento. È lo stesso principio della fantascienza: affrontare gli alieni per scoprire che ciò che ci interessa non sono gli alieni stessi, ma la nostra percezione di una realtà diversa, e come noi esseri umani ci rapporteremmo alla conoscenza di un mondo o di una civiltà ulteriore. Da questo scopriamo che la fantascienza, in realtà, è una grande indagine sull’essere umano. E allo stesso modo lo è la letteratura, perché indaga l’essere umano in toto e lo fa, secondo me, meglio di qualunque altra scienza o arte.

Parlando, invece, di possibili corsi della storia - un po’ come il richiamo a un Mussolini che non muore, che va in esilio, un elemento che cambia ogni cosa- possiamo dire che ogni dettaglio possa davvero creare nuovi mondi?

Nel romanzo ogni dettaglio influenza tutto. Una delle idee centrali è che ogni scelta, ogni decisione presa da un essere umano possa creare un diverso modo di vivere nel tempo, un diverso mondo, se vogliamo. Il problema è che non ci sono soltanto le decisioni dell’individuo, ma anche quelle degli altri, che a loro volta condizionano il mondo. Questi due piani finiscono per scontrarsi e formare un ulteriore bivio, un altro mondo possibile. Poi c’è tutto ciò che accade indipendentemente dalla volontà dell’uomo: ciò che succede per caso, per destino, o magari per sincronicità, cioè connessioni che non siamo in grado di vedere. Per rifarmi alla meccanica quantistica, direi una sorta di entanglement. Tutto questo è molto presente nel romanzo, insieme all’idea che ogni dettaglio conti e che ogni scelta dell’individuo sia determinante per la creazione di un mondo. 

Fuori di metafora, se non vogliamo credere che davvero si crei un mondo per ogni decisione che prendiamo, significa che ogni nostra scelta ci condiziona la vita. È quello che succede, ad Arturo. Nel momento in cui riceve il libro L’Historia poética da Tommaso, legge subito quella frase: “Non possiamo essere gentili in questo mondo oscuro”. In quel momento ha la possibilità di fermare tutto: il male, quella prova di crudeltà nei confronti di Tommaso; e quindi di cambiare radicalmente la sua vita, il bivio nel tempo. Probabilmente, se Arturo avesse deciso di non fare nulla, il romanzo sarebbe corso in un bivio diverso.

 Attraverso tutte le vicende, però, si arriva a un’altra alternativa, a un bivio nel tempo diverso, come nel finale, dove Asti rimane una sorta di territorio extra, una colonia francese. L’idea che ogni decisione conti si trasforma così in una questione etica: se ogni nostra scelta genera un mondo, allora dobbiamo fare di tutto per provare a essere gentili, essere rivoluzionari nel modo più semplice: prenderci cura degli altri, soprattutto dei più deboli. Fare, insomma, ogni giorno un gesto antifascista. Il gesto fascista è dimenticarsi dei più deboli.


 Come è stato, invece, scoprire Asti da una prospettiva diversa? È più difficile immaginare un luogo in cui si è vissuto e che si conosce bene, ma in un contesto completamente differente?

In realtà no, perché sento la necessità di conoscere bene quello che poi vado a stravolgere. È un po’ come dire: 'prima di creare un mondo diverso, devo conoscere bene il mondo reale che sto per trasformare'. La conoscenza di Asti, il mettersi in giro per la città per conoscerne gli angoli, le vie, l’odonomastica - cioè la toponomastica, i nomi delle vie, delle piazze e la loro storia - era fondamentale per me. È una passione personale: sarei stato felice di lavorare all’ufficio topografico del comune, perché tramite i nomi delle vie riesco a immaginare un mondo, una mappa non solo geografica, ma anche storica e umana della città in cui vivo o di qualunque altro posto in cui mi trovo.

Per me era decisivo utilizzare questi dettagli come segnali di distinzione tra l’Asti reale e l’Asti del romanzo. Alcune vie, come corso Abissinia, richiamano una percezione diversa del fascismo e del tempo narrativo. Quindi conoscere bene Asti era fondamentale: io sono felice di vivere dove vivo e non cambierei Asti per nessun altro posto. In “Digressione”, però, Asti doveva essere diversa: una città che prima di tutto rispecchiasse il grande senso di smarrimento e oscurità vissuto dal protagonista. È quindi un’Asti più oscura, più brutta, meno accogliente rispetto alla realtà - pur riconoscendo le qualità della città, perché tutto ciò che accadeva ad Asti doveva riflettere lo smarrimento di Arturo e il diverso modo di vivere nel tempo narrativo, simile al nostro, ma non identico. Ad esempio, Arturo all’inizio percepisce Asti come un buon posto dove prepararsi alla fine del mondo, ma la descrizione di luoghi concreti, come il parcheggio del Carrefour (ora Aumai) vicino al Borbore, serve a trasmettere uno stato d’animo particolare e l’atmosfera della città in quel momento. Per fare un’operazione del genere era fondamentale conoscere il luogo che si intende distorcere. Ho girato Asti a piedi, documentando tutto, per poi costruire un lavoro narrativo coerente.

Lo stesso principio vale per la lingua: parto da una lingua italiana che conosco e amo - appassionato di lingua e lettore di dizionari - e da lì costruisco un linguaggio modellato sui narratori, le situazioni e le ambientazioni. La lingua deve diventare un linguaggio, di volta in volta diverso; quindi, molto spesso, è digressiva. Perché questo è un romanzo che fa della digressione un monumento, forse un mausoleo - non lo so - ma è costruito proprio per essere un’enorme migrazione, un enorme viaggio nel quale non è tanto importante uscire, ma esplorare tutte le piste.

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 Griffi Digressione scheda (129 kB)