Più di novanta persone hanno riempito quest’oggi la Casa del Popolo di Asti per ascoltare le testimonianze di chi ha tentato di portare aiuti umanitari a Gaza attraverso il mare.
A seguire un pranzo di solidarietà, che ha permesso di raccogliere circa 2000 euro destinati a Music for Peace, organizzazione umanitaria di Genova che da molti anni sostiene iniziative di aiuto umanitario e sensibilizzazione.
Dario Liotta e Al Hroub Shokr: i racconti della Flotilla
Dario Liotta, partito da Otranto il 20 settembre a bordo della barca Al-Awad (“il ritorno”, in arabo ndr), ha raccontato la genesi del progetto: “Cinque anni fa ho ristrutturato una barca con mia moglie. All’inizio era solo un sogno, un modo per continuare ad andare per mare. Poi ci siamo detti che un privilegio del genere andava rimesso in gioco per qualcosa di più grande”.
Da lì è nato il contatto con Freedom Flotilla Italia, rete internazionale che negli anni ha organizzato 38 missioni per rompere l’assedio di Gaza e portare aiuti umanitari.
La partenza, racconta Liotta, è stata supportata da un sostegno inatteso: “Abbiamo ricevuto aiuto da velisti, il proprietario del cantiere ci ha pulito gratuitamente la barca. Gente che non aveva nulla a che fare con la nostra formazione politica, ma che ha voluto darci una mano”.
Nella tappa a Roccella Jonica, l’equipaggio ha trovato l’abbraccio delle comunità locali: “Il sindaco ci ha accolto dicendo fossimo loro ospiti e molta la gente sventolava le bandiere palestinesi".
A bordo persone con background differenti, di cui Dario ha citato alcuni membri: lui stesso, con un passato ricco di coinvolgimento politico; Francesca, impiegata di una multinazionale che – nonostante la mancata esperienza diretta – si è rivelata con notevole intelligenza politica e capacità di gestione dell’equipaggio; infine Fabio, un influencer livornese: “Non viaggiate mai con un influencer – scherza – nei momenti più strani non partecipano alla navigazione ma stanno col telefonino a raccontare una storia”.
Giunti a Otranto, la flottiglia si è unita al resto del gruppo. Le due barche, Al-Awad e Ghassan Kanafani (in memoria dello scrittore, giornalista e attivista palestinese) hanno navigato verso Creta, ma il viaggio si è interrotto a causa dell’intervento delle autorità greche.
“La polizia greca, di cui tre uomini in tenuta antisommossa, ci ha fermato e chiesto se a bordo ci fossero palestinesi, eravamo tutti italiani, e cosa trasportassimo. Abbiamo detto la verità: aiuti umanitari e medicinali. Le autorità si sono dimostrate maggiormente interessate a quest’ultimi, ma sono fortunatamente riuscite a distoglierne l’attenzione ponendo il focus sui vestiti che trasportavano e mostrandogli anche delle barchette colorate, disegnate dai bambini delle scuole di Lecce. Ci avranno preso per stupidi pensando: questi vanno a Gaza e gli portano le barchette colorate” scherza ancora Dario.
Mentre la sua barca era stata lasciata andare con l'obbligo di segnalare ogni spostamento alle capitanerie di porto, quella del compagno Roberto veniva sequestrata a causa di un urto contro il molo, provocando una crepa sullo specchio della poppa: “La sua barca è rimasta bloccata a Creta per dodici giorni. Noi abbiamo deciso di tornare indietro per raggiungerli: le condizioni atmosferiche non erano favorevoli e loro stavano riscontrando alcune difficoltà nel dialogare con le autorità”.
Nonostante il mancato arrivo alla meta Dario non è arreso, ed è nella sua volontà ritentare la spedizione: “La Palestina ha insegnato liberarci: se come collettivo scendiamo in piazza per i nostri diritti e per quelli dei palestinesi, abbiamo la possibilità di riconquistare le nostre vite ” ha concluso.
Intervenuto successivamente in collegamento video Al Hroub Shokr, che ha ricordato il drammatico quadro politico e umano nella Striscia di Gaza: “Non si tratta di cessare il fuoco – quello è tra eserciti – ma di fermare il genocidio in corso ”.
Shokr ha sottolineato come debba essere “un diritto e un dovere” della resistenza palestinese autodeterminare il proprio popolo e nella sua terra, ricordando che proprio giovedì l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha dichiarato che oltre 16.500 persone a Gaza necessitano urgentemente di cure mediche.
La storia di Fadi, lo chef palestinese
Nato in Palestina, da qualche mese vive a Torino con la sua famiglia, composta dalla moglie e 3 figli. Lì si è laureato in economia e marketing e ha lavorato per diversi anni come amministratore e contabile in un cementificio a Gaza. Le condizioni di salute di uno dei suoi figli hanno reso necessario lo spostamento in Italia: “Mio figlio ha problemi cardiaci e a Gaza non potevano curarlo. È stato mandato in Italia il 12 giugno e ha subito quattro interventi al Regina Margherita di Torino”.
Fadi ha perso la casa e il lavoro sotto i bombardamenti: “La mia famiglia era composta da settantatré persone, oggi ne restano otto”.
A Torino si è reinventato come chef, offrendo servizi di catering: “Mi è stato chiesto da alcune persone di assaggiare dei piatti palestinesi, non riuscivano a credere alla bontà del cibo”, così è stato incoraggiato nel cimentarsi nel mestiere di chef. “È da circa due mesi che le persone mi invitano a cucinare i miei piatti per loro e io accetto, dando sempre del mio meglio".
Da ieri, con l’aiuto di alcune ragazze e ragazzi volontari, Fadi si è dedicato ai preparativi per i novanta partecipanti del pranzo di oggi. Nonostante la difficoltà nel dialogare con lui in italiano – lingua comprensibilmente ancora da lui poco conosciuta – l’ausilio di un traduttore ha permesso di godere della sua simpatia e diligenza e di creare un’ottima squadra: da addetti al taglio delle verdure, ai fornelli, impiattamenti e servizio al tavolo. Insalata di cavolo, riso ouzi e moussaka sono state le pietanze proposte e apprezzate dai partecipanti, che hanno rivolto un grande applauso a Fadi e ai ragazzi coinvolti.