Le nuove indiscrezioni sul futuro assetto della Banca di Asti - alla quale, oltre alle già più volte citate Credem e Banco BPM, sarebbe interessata anche UniCredit - ha riacceso il dibattito cruciale sulle ricadute occupazionali e sociali per le lavoratrici, i lavoratori e l’intero tessuto economico locale.
A lanciare un chiaro avvertimento è la Fisac Cgil Piemonte, che invita a spostare l'attenzione dalla semplice lista dei pretendenti alle conseguenze reali di una simile operazione. Secondo il sindacato, il problema non risiede nella maggiore o minore sovrapposizione geografica tra gli istituti, quanto nella sopravvivenza stessa di un modo di fare banca. Cinzia Borgia, segretaria generale Fisac Cgil Piemonte, evidenzia infatti che il vero nodo "è che qualsiasi aggregazione rischia di mettere in discussione il modello di banca tradizionale, oggi sempre più residuale nel sistema finanziario italiano".
L'ingresso dell'istituto astigiano nell'orbita di un grande gruppo bancario nazionale porterebbe con sé timori ricorrenti, che il sindacato enuncia in una nota stampa. Le previsioni indicano come molto probabile una riduzione della rete sportellare e un conseguente indebolimento del presidio nelle province di Asti, Biella e Vercelli. Questo scenario comporterebbe la destrutturazione dell’attuale assetto, che oggi è in grado di garantire un rapporto diretto e personale con cittadini, famiglie e imprese locali.
Il contesto regionale, d'altronde, è già segnato da una profonda crisi della presenza fisica degli istituti di credito. La desertificazione finanziaria è una realtà preoccupante in Piemonte, dove oltre il 60% dei Comuni è ormai privo di sportelli bancari, lasciando centinaia di migliaia di cittadini senza accesso ai servizi essenziali. Un'ulteriore concentrazione del mercato rischierebbe di accelerare e aggravare questo processo.
"Il punto non è chi compra, è che cosa si rischia di perdere - dichiara Borgia - perché un’eventuale aggregazione potrebbe cancellare un modello di banca radicata nel territorio, a meno che non avvenga con soggetti strutturati allo stesso modo, ipotesi oggi sempre più rara", spiega la segretaria. La questione, dunque, travalica gli aspetti puramente economici per toccare quelli della tenuta sociale delle comunità. "Serve una riflessione complessiva – aggiunge la Segretaria – perché la presenza bancaria non è solo un tema industriale, ma un fattore di coesione sociale. Non possiamo permettere che scelte guidate solo da logiche finanziarie impoveriscano ulteriormente le nostre comunità", conclude Borgia.
Esiste tuttavia, secondo il sindacato, una via alternativa alla cessione a un colosso bancario, una strada che permetterebbe di ottemperare alle richieste del Ministero dell'Economia e delle Finanze senza sacrificare l'identità dell'istituto. Enzo La Montagna, coordinatore Fisac Cgil Banca di Asti, suggerisce una soluzione che coinvolga partner diversi: "I soggetti istituzionali che attualmente detengono la maggioranza attraverso un patto di sindacato - afferma - hanno la possibilità di gestire la riduzione della partecipazione imposta dal MEF facendo entrare altri soggetti istituzionali che non abbiano come unico scopo la massimizzazione del dividendo, salvaguardando così l'attuale modello".