Da anni, nel mondo delle fondazioni di origine bancaria, è aperto un confronto sul tema della concentrazione patrimoniale nelle banche conferitarie. Le linee guida condivise tra ACRI e MEF indicano la necessità di un equilibrio tra radicamento territoriale e sana diversificazione finanziaria: un equilibrio che molte fondazioni italiane hanno progressivamente ricercato per garantire stabilità e capacità erogativa nel lungo periodo.
Questo dibattito nazionale è arrivato anche ad Asti, accendendo un confronto nella comunità locale sulla sostenibilità di un modello che, nel nostro caso, vede la Fondazione detenere il 31,80% di Banca Cassa Risparmio di Asti. Una partecipazione che, da sola, rappresenta circa l’80% del patrimonio complessivo della Fondazione, molto al di sopra del limite del 39% previsto dal protocollo ACRI–MEF nella sua versione più aggiornata e, comunque, ben superiore ad un livello ragionevole di concentrazione degli investimenti patrimoniali.
Non si tratta di un’anomalia nata oggi. È il risultato di scelte stratificate nel tempo, maturate in un contesto storico ed economico differente, in cui mantenere una forte concentrazione sulla banca conferitaria era percepito come un elemento di sicurezza e continuità. Oggi, però, quel contesto è profondamente cambiato: il mercato bancario vive una fase di consolidamento senza precedenti, la redditività degli istituti locali è più sfidante e la stabilità delle fondazioni dipende sempre più dalla diversificazione del patrimonio e delle entrate.
Basti osservare i dati più recenti: negli ultimi quattro anni il rendimento medio del dividendo della nostra conferitaria, Banca Cassa di Risparmio di Asti, è stato inferiore al 3%, un livello significativamente più basso rispetto a realtà equiparabili per dimensione e collocazione territoriale. Nello stesso periodo Fondazione CR Cuneo ha registrato un rendimento medio della conferitaria prossimo al 12%, Fossano l’8,2%, Alessandria il 4,6%. Numeri che mostrano, con evidenza, come il nostro modello non sia stato performante quanto quello di altre fondazioni radicate in territori simili al nostro.
Non è una questione di colpe, ma di realismo. Ciò che per lungo tempo, in un contesto storico ed economico diverso, ha garantito stabilità oggi, al contrario, può generare fragilità. Ed è proprio assumendo questo dato di realtà che possiamo affrontare con responsabilità la discussione sul futuro, come altri territori italiani hanno fatto con lungimiranza.
La lezione di Torino e la scelta che ha cambiato un territorio
Il dibattito che oggi coinvolge Asti non è nuovo in Italia. A Torino, quasi trent’anni fa, la Fondazione CRT dovette scegliere se mantenere il controllo della propria banca del territorio o aderire al progetto che portò alla sua integrazione in Unicredit. Ci furono resistenze, preoccupazioni e una forte contrapposizione interna, proprio come oggi accade ad Asti.
La storia ha dato ragione a chi ha avuto il coraggio di guardare lontano: allora la Fondazione CRT aveva un patrimonio pari a circa 1 miliardo di euro ed erogava ogni anno l’equivalente di 9 milioni di euro.
Oggi il patrimonio è di 4,2 miliardi, con erogazioni annuali pari a 80 milioni e oltre 2 miliardi distribuiti dal 1991.
Il territorio torinese non ha perso potere; ha guadagnato opportunità.
È legittimo chiedersi se Asti non si trovi oggi di fronte a un bivio simile. Le azioni della nostra Banca dopo 10 anni valgono la metà di quanto gli azionisti – compresi i 26.000 piccoli risparmiatori – hanno investito. I dividendi distribuiti alla Fondazione CrAsti sono da anni insufficienti per rispondere alle richieste del territorio: è un dato di fatto, non un giudizio politico.
Basti pensare che la Fondazione CR Alessandria, con un patrimonio pressoché pari al nostro, riesce a erogare più del doppio. Un segnale che non può essere ignorato.
La retorica del “siamo la banca del territorio” non basta più. Una banca del territorio è tale se sostiene famiglie, imprese, associazioni, creando sviluppo e non solo mantenimento.
Perché oggi serve una decisione
Oggi forse si vorrebbe non scegliere, ma anche questa è una scelta. Significa fermarsi, rimanere ancorati a un passato che potrebbe non rispondere più in modo adeguata alle sfide del futuro.
La Fondazione, come maggior azionista della Banca, ha il dovere di scegliere, con visione e responsabilità, quale futuro costruire. Un futuro che non può prescindere da:
- diversificazione del patrimonio, per garantire stabilità patrimoniale e nelle erogazioni;
- rafforzamento della redditività della Banca, indipendentemente dalla sua configurazione futura;
- valorizzazione del capitale umano, in un’epoca in cui l’intelligenza artificiale non sostituirà l’uomo ma esalterà chi saprà utilizzarla;
- adozione delle innovazioni di sistema, come l’Euro Digitale, che ridisegnerà servizi e modelli di gestione del credito;
Il cambiamento non deve essere vissuto come una minaccia o come un obbligo, anche se di fatto lo è, ma come un’opportunità che gli amministratori della Fondazione hanno il dovere di perseguire con determinazione.
Crescita, coesione sociale e responsabilità verso il territorio
Non esiste benessere senza sviluppo. Non esiste sviluppo senza coesione sociale. E la coesione si regge solo se esistono risorse da investire sul territorio, perché non c’è ricchezza senza crescita.
L’operazione che la Fondazione è chiamata a valutare non ha come obiettivo il proprio lucro, ma il rafforzamento della Banca conferitaria, perché solo una banca più forte può generare sviluppo per il territorio. È nell’interesse della conferitaria crescere, innovare e reggere la competizione: e ciò coincide esattamente con l’interesse della nostra comunità.
Il contesto bancario in cui operiamo non è più quello di dieci o vent’anni fa: il sistema è entrato in una fase di forte consolidamento, le adeguate dimensioni, patrimoniali ed operative, possono essere decisive per vincere le sfide future. Le dinamiche regolamentari, tecnologiche e di mercato spingono sempre più verso integrazioni e aggregazioni. Ignorare questo cambiamento significherebbe isolarsi e indebolirsi.
Il nostro territorio non può permettersi di arretrare. La Fondazione, per mandato statutario e per responsabilità morale, non può limitarsi a conservare ciò che c’è: deve lavorare per ciò che può essere.
All’immobilismo preferiamo la visione. Alla prudenza sterile, la determinazione. Alla paura, il coraggio. Perché solo il coraggio genera futuro.
Livio Negro - Presidente Fondazione Cassa di Risparmio di Asti