Il premio Nobel per la chimica atmosferica Paul Crutzen ha coniato il termine “Antropocene” per definire l’epoca in cui viviamo. È l’era geologica in cui l’ambiente terrestre è fortemente condizionato su scala tanto locale quanto globale dagli effetti dell’azione umana. Se i cambiamenti climatici sono l’effetto più evidente a tutti, qualche numero ci aiuta a comprenderne le cause. Per esempio gli scienziati hanno stimato che su ogni metro quadrato del pianeta pesano 50 chilogrammi di tecnologie e che l’energia prodotta dall’uomo è pari alla metà di quella racchiusa nelle viscere della Terra.
Ma l’umanità può continuare a rapportarsi alla natura come se fosse altro da sé? Se n’è parlato sabato al Polo Universitario Rita Levi-Montalcini di Asti, in occasione della quarta giornata di studio dedicata alla figura di Giuseppe Ratti, l’ingegnere contadino di Variglie profondamente legato a questi temi, condivisi con amici colleghi e studiosi degli Atenei torinesi e del Collegio Universitario da lui frequentato.
A stimolare la riflessione, con una lectio magistralis appassionante, è stato il professor Adriano Favole, ordinario di Antropologia culturale all’Ateneo torinese e ricercatore oceanista. "L’antropologia culturale, così come le nuove frontiere delle neuroscienze - ha ricordato il professor Favole - ci invitano ad aprire la mente, a guardare l’altro da noi con empatia piuttosto che con i sentimenti più diffusi che vanno dall’indifferenza alla paura per arrivare all’odio. Vale per gli esseri umani, per le piante, per gli animali e per la natura tutta. Un esempio positivo e stimolante arriva dal popolo kanak della Nuova Caledonia, uno dei maggiori bacini mondiali di nichel, minerale essenziale all’economia moderna. I Kanak disegnano l’uomo come un insieme di frecce che partono da un punto per diramarsi in tante direzioni diverse – ha spiegato l’antropologo – l’essere umano per loro non è altro se non le relazioni che lo legano al mondo circostante, alla natura così come alla famiglia, alla scuola, agli amici”.
Il rapporto tra uomo e natura passa da binomio a interdipendenza e le più recenti riflessioni scientifiche portano all’attenzione nuovi temi come i diritti della natura in rapporto a quelli umani, ha osservato il professor Marco Devecchi, presidente dell’Osservatorio sul Paesaggio e del Centro studi per lo sviluppo rurale della Collina. Un invito alla fiducia e all’ottimismo è arrivato da Carlo Ratti, figlio di Giuseppe, architetto e ingegnere, direttore del Senseable City Lab al Massachusetts Institute of Technology di Boston, una delle figure scientifiche più influenti a livello mondiale.
“Noi viviamo immersi nelle reti che ci mettono in relazione con il mondo – ha commentato – conoscere di più e meglio è il primo antidoto alla paura”. Da Favole e Ratti è infine arrivato l’invito alla lettura del saggio di Bruno Latour “Tracciare la rotta. Riorientarsi in politica” (2018, Cortina editore). Un buon consiglio per le strenne natalizie.