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Cultura e tempo libero | 18 dicembre 2018, 13:30

Uomo, natura e culture nella lectio magistralis di Adriano Favole per ricordare Giuseppe Ratti

Presente al convegno anche Carlo Ratti del MIT di Boston

Un momento del convegno di sabato

Un momento del convegno di sabato

Il premio Nobel per la chimica atmosferica Paul Crutzen ha coniato il termine “Antropocene” per definire l’epoca in cui viviamo. È l’era geologica in cui l’ambiente terrestre è fortemente condizionato su scala tanto locale quanto globale dagli effetti dell’azione umana. Se i cambiamenti climatici sono l’effetto più evidente a tutti, qualche numero ci aiuta a comprenderne le cause. Per esempio gli scienziati hanno stimato che su ogni metro quadrato del pianeta pesano 50 chilogrammi di tecnologie e che l’energia prodotta dall’uomo è pari alla metà di quella racchiusa nelle viscere della Terra.

Ma l’umanità può continuare a rapportarsi alla natura come se fosse altro da sé? Se n’è parlato sabato al Polo Universitario Rita Levi-Montalcini di Asti, in occasione della quarta giornata di studio dedicata alla figura di Giuseppe Ratti, l’ingegnere contadino di Variglie profondamente legato a questi temi, condivisi con amici colleghi e studiosi degli Atenei torinesi e del Collegio Universitario da lui frequentato.

A stimolare la riflessione, con una lectio magistralis appassionante, è stato il professor Adriano Favole, ordinario di Antropologia culturale all’Ateneo torinese e ricercatore oceanista. "L’antropologia culturale, così come le nuove frontiere delle neuroscienze - ha ricordato il professor Favole - ci invitano ad aprire la mente, a guardare l’altro da noi con empatia piuttosto che con i sentimenti più diffusi che vanno dall’indifferenza alla paura per arrivare all’odio. Vale per gli esseri umani, per le piante, per gli animali e per la natura tutta. Un esempio positivo e stimolante arriva dal popolo kanak della Nuova Caledonia, uno dei maggiori bacini mondiali di nichel, minerale essenziale all’economia moderna. I Kanak disegnano l’uomo come un insieme di frecce che partono da un punto per diramarsi in tante direzioni diverse – ha spiegato l’antropologo – l’essere umano per loro non è altro se non le relazioni che lo legano al mondo circostante, alla natura così come alla famiglia, alla scuola, agli amici”.

Il rapporto tra uomo e natura passa da binomio a interdipendenza e le più recenti riflessioni scientifiche portano all’attenzione nuovi temi come i diritti della natura in rapporto a quelli umani, ha osservato il professor Marco Devecchi, presidente dell’Osservatorio sul Paesaggio e del Centro studi per lo sviluppo rurale della Collina. Un invito alla fiducia e all’ottimismo è arrivato da Carlo Ratti, figlio di Giuseppe, architetto e ingegnere, direttore del Senseable City Lab al Massachusetts Institute of Technology di Boston, una delle figure scientifiche più influenti a livello mondiale.

Noi viviamo immersi nelle reti che ci mettono in relazione con il mondo – ha commentato – conoscere di più e meglio è il primo antidoto alla paura”. Da Favole e Ratti è infine arrivato l’invito alla lettura del saggio di Bruno Latour “Tracciare la rotta. Riorientarsi in politica” (2018, Cortina editore). Un buon consiglio per le strenne natalizie.

Comunicato stampa

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