Attualità - 23 ottobre 2020, 08:15

Vi racconto il mio ‘limbo’: in autoisolamento da due settimane, ancora aspetto il tampone

Abbiamo raccolto la testimonianza di un insegnante del Giobert che, rimasto a casa dopo aver riscontrato possibili sintomi del Covid, sta vanamente cercando di accertare se è positivo

Dopo aver letto il nostro articolo in cui davamo conto dell’elevato numero di contagi registrati nell’Istituto (CLICCA QUI per rileggerlo), nel tardo pomeriggio di ieri ci ha contattati un professore dell’IIS Giobert che, esasperato dall’odissea burocratico-sanitaria che sta vivendo da ormai più di due settimane, ha deciso di condividere la sua storia confidando la pubblicazione su un organo di stampa possa contribuire a farlo uscire dal ‘limbo’. Ecco il suo racconto.

Professore, per comprendere la sua vicenda è davvero imprescindibile seguire l'ordine cronologico degli eventi…

Circa due settimane fa mi è venuta la febbre alta, con tosse insistente. Per cui, anche se fino ad allora non vi erano stati molti casi di Covid al Giobert, con il mio medico abbiamo valutato di richiedere di sottopormi a tampone. Io mi aspettavo di venire chiamato dopo 2-3 giorni e nel mentre sono rimasto precauzionalmente a casa. Nel frattempo mi è passata l’influenza e ho perso completamente olfatto e gusto, ma la chiamata per fare il tampone ha continuato a non arrivare.

Dopo quanto tempo ha deciso di provare a ricontattare lei l’Asl?

Grossomodo dopo una settimana, ma ma è stato tutto inutile fino a qualche sera fa, quando finalmente sono riuscito a mettermi in contatto il Sisp e la persona con cui ho parlato ha deciso di sottoporre la questione ai suoi colleghi dicendomi che mi avrebbero richiamato a breve, ma non l’hanno ancora fatto. Quindi, anche grazie al supporto del referente Covid dell’Istituto, sono riuscito a ricontattarli per cercare di capire cosa fosse successo e mi hanno detto di avermi chiamato ma che io non ho risposto. Ho controllato nel registro chiamate, ma non ho trovato nulla. Ho anche verificato di non avere qualche impostazione particolare di ‘filtro’ sul telefono, visto che chiamano con numero privato, ma non ho riscontrato nulla.

Immagino che, nell’arco temporale trascorso da quando lei è a casa, qualche sua classe sia stata comunque chiusa e i suoi colleghi posti in quarantena precauzionale...

Sì. Il 9 ottobre, praticamente poco dopo rispetto quando io ho avvertito i primi sintomi, hanno chiuso una delle mie classi e mandato in quarantena precauzionale i miei colleghi che avevano fatto lezione quel giorno, ma io il 9 di ottobre ero a casa con la febbre: in quella classe avevo fatto lezione il 7 e l’8 ottobre. Pertanto non sono rientrato in nessuno di questi casi di isolamento, quindi teoricamente non ho neppure l’obbligo di restare a casa. Ci rimango comunque, perché finché non accerteranno che sono infettivo non voglio correre il rischio di trasmettere il Covid a qualcuno. Però, di fatto, dopo due settimane io non so ancora se sono stato o sono ancora positivo o meno…

Quindi rimarrà in ‘autoisolamento’ finché non la sottoporranno a tampone?

Esattamente. Anche se penso che facendo il tampone ora, dopo più di due settimane dai primi sintomi, credo risulterei comunque negativo. E’ questo l’aspetto più paradossale di tutta la vicenda… Tra l’altro, tra una settimana, io dovrei affrontare il Concorso straordinario per entrare di ruolo, ma se la mia situazione non si sbloccherà non so neppure se potrò farlo o meno…  Vorrei anche poter tornare a scuola per dare una mano, i colleghi sono in enormi difficoltà essendo sotto organico per via dei tanti in quarantena fiduciaria.

Che conclusioni ha tratto dalla sua vicenda?
Quella che esprimo è ovviamente è soltanto una mia opinione, ma resto convinto che se ci fosse stata più attenzione a situazioni come la mia e avessero accertato celermente la mia positività – sempre che lo sia stato o lo sia, perché ripeto che a tutt’oggi non lo so – probabilmente il contagio avrebbe potuto essere circoscritto, più contenuto. Tenga conto che io ho 120 studenti…

Gabriele Massaro