Alla ricerca di una parvenza di normalità, cultura ed arte hanno riavuto da pochi giorni l’occasione di fare la loro parte. A partire da lunedì scorso, il Piemonte è tornato finalmente in zona gialla. Ottima notizia anche per i suoi musei, che sono tornati ad accogliere pubblico.
Nel capoluogo piemontese, è ripartita la Fondazione Torino Musei con il Gam, Palazzo Madama e il Mao, si sono riaperti i grandiosi saloni dei Musei Reali, Palazzo Chiablese, il gigantesco Museo Egizio, l’Accademia Albertina, il Museo Camera del Centro italiano per la fotografia, il museo Accorsi-Ometto e anche il Museo del Risparmio di Intesa San Paolo. Aperta la Reggia di Venaria, il Castello di Rivoli, contenitore del Museo di Arte Contemporanea, il Castello di Racconigi e l’abbazia di Vezzolano. Musei aperti anche a Cuneo, Alba, Casale, Biella, Vercelli, aperto persino il museo del vino, il Wimu, di Barolo. Musei e luoghi d’arte, prima di tutto, luoghi dei cittadini.
Insomma hanno aperto tutti. Salvo che ad Asti.
Hanno riaperto tutti, consapevoli della fondamentale valenza della cultura per le comunità residenti, alla ricerca di normalità. E noi no. Diversi hanno anche scelto di proporre ingressi gratuiti, nuovi allestimenti e nuove iniziative, nonostante i limiti di visite dalle aperture concesse, per ora, solo nei giorni feriali; nonostante l’assenza di turisti; nonostante i blocchi di spostamento tra Regioni. Gli stessi nonostante che hanno portato la Fondazione Asti Musei ad andare controcorrente, decidendo di non riaprire Palazzo Mazzetti, così come la Cripta di Sant’Anastasio e il Museo Lapidario, Palazzo Alfieri, il Museo Guglielminetti, la Domus Romana, il Complesso di San Pietro e la Torre Troyana, gentilmente concessi dal Comune in comodato gratuito, per renderli più fruibili e valorizzati.
Le motivazioni in un secco comunicato: non ci sono turisti, non apro; non mi conviene economicamente, non apro. E noi?
Evidente dimostrazione che l’idea di gestire un museo con la sola logica aziendale, costringe spesso a puntare al ribasso. Tipo tenerlo chiuso. Altrettanto evidente che riducendo il senso d’identità e l’amore per arte e cultura, non aspettiamoci crescita di visitatori. Visitatori e visite sono robe da coltivare bene, a partire dai giovani e dai giovanissimi, con cura e dedizione, maggiormente in momenti come questi. Il pericolo di disaffezione culturale, persa la valenza di socialità collettiva, è dietro la porta. Gestirlo però secondo un mero modello aziendale, non solo priva i cittadini di loro beni, la chiusura museale astigiana ne è il massimo riscontro, ma alla fine rischia di non soddisfare neppure gli obiettivi economici, ove vi siano.
Chissà perché mi viene in mente, per chiudere, Tomaso Montanari, storico dell’arte, e il suo stigmatizzare quanto la fruizione sia fondamentale per rendere i cittadini consapevoli dei beni preziosi posseduti, criticando aspramente l’industria dell’intrattenimento culturale, quando se ne fosse scordata.
Dai, su. Aprite tutto, per piacere.