“Gentile Avvocato, sono proprietario di un piccolo appartamento nei dintorni di Asti. Tornato dalle vacanze, mi sono recato con mia moglie presso l’immobile ed ho scoperto che risulta occupato da alcuni soggetti. Ho chiamato le forze dell’ordine e mi è stato riferito che non v’è possibilità di fare ricorso alla forza pubblica per liberarlo. Quella casa sarebbe servita a mia figlia che ha recentemente deciso di andare a vivere con il fidanzato. Come è possibile che io non sia più proprietario di casa mia?Cosa posso fare?”
Caro lettore, lo sconcerto è più che comprensibile. La legge italiana, in materia, vive un paradosso aberrante e difficilmente comprensibile. Spesso a noi avvocati capita di dover faticare per tentare di spiegare cosa sia necessario fare e, talvolta, il cliente si persuade che sia colpa dell’avvocato “fannullone” che la tira per le lunghe solo per assicurarsi una parcella sostanziosa. Una delle conseguenze più evidenti della crisi economica è l'emergenza abitativa che, abbinata a povertà estrema e disperazione, ha determinato l’accentuarsi del fenomeno dell'occupazione abusiva di immobili. Un immobile si dice occupato abusivamente quando un soggetto si stabilisce al suo interno arbitrariamente, senza nessun titolo che lo legittimi. Rientra nell’alveo dell’occupazione abusiva anche il caso dell’esistenza iniziale di un rapporto regolare tra proprietario ed occupante e quindi, dell’esistenza di un titolo che legittimava l’occupante a godere dell’immobile, poi venuto meno. Tipico esempio è la permanenza del conduttore dopo la scadenza del termine del contratto di locazione. In questi casi, l’ordinamento offre al proprietario dell’immobile diversi strumenti di tutela, alcuni di tipo civile altri di tipo penale, consentendogli di liberare la casa e, dunque, di rientrare in possesso del proprio bene. Tuttavia, le disposizioni di legge non garantiscono una tutela immediata ed esaustiva.
La querela per l’occupazione abusiva
Il codice penale, all’art. 633, qualifica l’occupazione abusiva come la condotta di chi entra illegittimamente in un immobile altrui(edificio o fondo che sia) con il fine preciso di impossessarsene o di utilizzarlo per trarne qualche vantaggio. Dunque, l’occupazione abusiva, per essere tale, necessita della volontà dell’occupante di rimanere per un certo periodo di tempo (anche per sempre) all’interno dell’immobile che ha invaso. Tuttavia, non costituisce occupazione abusiva l’ingresso momentaneo nella proprietà altrui: in un caso del genere, tutt’al più, potrebbe integrarsi il reato di violazione di domicilio. L’invasione illegittima della proprietà, autorizza la persona offesa a presentare querela presso le autorità competenti. Seguiranno le indagini e l’eventuale rinvio a giudizio dell’occupante al quale il Giudice potrà irrogare la pena, ma non potrà ordinargli il rilascio dell’immobile. L’eventuale costituzione di parte civile consentirà, infatti, di ottenere unicamente il risarcimento del danno.
L’azione per la reintegrazione dell’immobile occupato
Parallelamente al processo penale, per poter liberare l’immobile, occorrerà attivare un’azione civile definita dal codice civile di “reintegrazione” o di “spoglio”. Tale azione riconosce legittimazione ad agire, non soltanto al proprietario, ma anche al possessore (quindi l’eventuale usufruttuario o conduttore). Tale azione dovrà, però, essere esercitata entro un limite di tempo, ossia entro l’anno dalla data di occupazione. Per la precisione, il termine annuale per l’esercizio dell’azione di spoglio comincia a decorrere: - dal momento dell’effettiva occupazione; - mentre, nel caso di spoglio clandestino, da quando il soggetto che si è visto privare del bene ne abbia avuto conoscenza. Tale azione è la più adatta a tutelare le ragioni del titolare (o del detentore) dell’immobile invaso: si tratta di procedimento che, se intrapreso con urgenza, può condurre ad una “rapida” soluzione.
L’ottenimento della sentenza non basta
Ottenuta la sentenza di reintegra del possesso, se l’occupante si rifiuta ancora di rilasciare spontaneamente l’immobile, si dovrà procedere con l’esecuzione forzata: il proprietario dovrà chiedere l’intervento dell’ufficiale giudiziario che, eventualmente, potrà farsi accompagnare dai Carabinieri per vincere eventuali resistenze fisiche. Ma attenzione, perché il provvedimento potrebbe non bastare! Infatti, qualora il Giudice non indichi nella sentenza le modalità con le quali si dovrà dare corso all’esecuzione, l’ufficiale giudiziario si verrebbe a trovare nell’impossibilità di dar corso al rilascio.
Posso solo immaginare lo stupore nel leggere alcuni passaggi di questo articolo: l’ordinamento infatti tutela il diritto di proprietà in maniera affievolita; appresta una tutela penale che impedisce di ottenere un risultato pratico; richiede di attendere l’esito di un giudizio civile che potrebbe purtroppo avere intoppi nel proprio iter, negando nel frattempo al proprietario il diritto di godere pienamente di casa sua.