La Teoria dell’interscambio sociale nasce negli anni cinquanta dall’illuminata mente di George Homans, sociologo americano fondatore della sociologia comportamentale. Teoria che ruota attorno al principio che le persone interagiscano tra di loro dopo aver considerato i costi e benefici passati e potenziali. Perché la teoria reggesse necessitava un mezzo generalizzato, così Homans definiva tutti i bei valori sociali usati nelle interazioni. Poi ti arrivano industrializzazione, consumismo, società liquida (quella di Bauman) ed ecco che iniziano ad emergere i rischi odierni dove organizzazione e denaro si stanno sempre più imponendo come mezzi dominanti. Potere, prestigio, stima, rispetto, status e reputazione sono per la Teoria dell’interscambio sociale gli strumenti con cui ricompensiamo, alla ricerca di modelli culturali condivisi, di piacevole e costruttiva convivenza. Strumenti di scambio sociale sempre più confusi e sostituiti da quelli tipici dello scambio economico. E’ istintivo oggi identificare il denaro con la ricchezza, la ricchezza con la sola disponibilità di un bene e per bene qualcosa che soddisfa una necessità, un bisogno oppure un piacere. Il denaro rappresenta ormai la società moderna. Le varie rivoluzioni scientifica, religiosa, industriale che sono avvenute in Europa e nel Mondo a partire dal XVIII secolo hanno portato alla considerazione che abbiamo oggi del denaro: mezzo per essere potenti e poter comandare sul prossimo. Anche per questo mi piace Homans e mi piace molto la sua Teoria che in fondo indica la considerazione, quella più pura, quale mezzo per lo scambio sociale, perché vero valore di scambio: vale solo se accettata da altri. Come il denaro, la considerazione è una sorta di deposito del valore in quanto promessa di riconoscenza, ed è misura del valore delle relazioni sociali, nel ritrovarsi in atteggiamenti e modelli culturali condivisi.
Facile però per Homans: se ne usciva dal conflitto bellico che, dopo aver separato, non poteva che riunire, e conviveva in una società, pur se con un mare di problemi, attaccata al vicino, al quartiere, al borgo. Dove la reputazione raramente si comperava e l’essere era sopra l’avere. Utopia? Mica tanto: vivo in un piccolo paese del Sud Astigiano, non tanto diverso dai moltissimi altri sparsi in tutta Italia, e qui poco conta che auto guidi, come vesti o la dimensione di casa tua. Conta come consideri gli altri, conta il mettere in mostra naturale fiducia per ricevere fiducia, conta stimare per essere stimati, conta il faccia a faccia. Mi piacerebbe moltissimo esistesse una macchina del tempo per andare a prendere George negli anni ‘60 e portarlo, ora, dalle mie parti a farsi un bicchiere al bar, a camminare in piazza, a entrare in un negozio a comperare qualcosa per cena. Sono sicuro che toccare nella pratica ciò che era teoria, oltre a tutto il resto, piacerebbe molto anche a lui.






