Le recenti polemiche sull’Università di Asti meritano alcune considerazioni e qualche riflessione/proposta.
Cominciamo intanto con il dire che ad Asti non c’è una Università ma un Polo Universitario che offre servizi e corsi di laurea per conto dell’Università di Torino e per quella del Piemonte Orientale.
La differenza non è banale.
Una Università ha un Rettore, un Consiglio di Facoltà e una autonomia didattica e finanziaria.
Il Polo Universitario di Asti svolge corsi e prepara studenti ma non ha una sua autonomia: i corsi vengono pagati alle due Università piemontesi (Torino e Alessandria) dal Consiglio di Amministrazione del Polo di Asti con una spesa di circa due milioni di euro all’anno.
A fronte di un tale investimento sarebbe indispensabile che la città avesse un ritorno, in termini occupazionali e di ricchezza per bar, ristoranti, tavole calde, affitti, librerie ecc.
Cosa che è evidente non succeda, tanto che la zona di corso Alfieri, dalla ex-UPIM a San Pietro, è in forte crisi.
Questo non è però l’argomento più importante.
Ciò che conta è il tipo di università che si vuole offrire ad Asti (e non solo per gli astigiani).
Che ruolo può avere l’Università per connotarne l’identità?
Credo sia riconosciuto da tutti che Asti e il suo territorio possiedono una connotazione agricola, in particolare vitivinicola ed enologica.
Nel mondo del vino, oggi, non ci sono solo agricoltori singoli ma aziende sempre più strutturate, tecnologicamente avanzate, che svolgono, o vorrebbero svolgere, ricerca, innovazione per competere sui mercati internazionali. Parliamo di cantine, di aziende per la produzione di bottiglie, tappi, etichette, macchine per il settore enologico, ma anche di tutto ciò che serve a far conoscere il prodotto.
Negli anni 70 il Barolo costava pochissimo; solo 10 anni fa la Barbera di Nizza non era riconosciuta come invece è oggi: merito di ricerca, affinamento del gusto, lavoro di enologi ed esperti di commercializzazione.
Anche i vigneti hanno cambiato prezzo da allora…
I nostri corsi di laurea (al di là della positività di formare ottimi infermieri e laureati in scienze motorie) dovrebbero caratterizzarsi nel settore agro-alimentare, e in particolare vitivinicolo, venendo a rappresentare una eccellenza unica a livello nazionale, in un settore che offre evidenti occasioni di sviluppo e occupazione.
L’alleanza tra le istituzioni e le aziende del settore può fare la differenza.
Per questo obiettivo ha senso un investimento pubblico, come quello fatto dalla Fondazione CRAsti.
Non ha più senso, invece, per corsi di laurea “doppioni” che portano a titoli di studio ma non a nuovi e stimolanti sbocchi occupazionali e insieme a nuova ricchezza per il territorio e per la città.
Angela Quaglia- CambiAMO Asti