Nelle scorse settimane abbiamo colto più volte l’eco delle varie prese di posizione, più o meno forti, più o meno strumentali, proveniente da albesi assai preoccupati dalla spada di Damocle dell’overtourism.
E indubbio che nell’Astigiano siamo ancora lontanini dal problema, ma la soluzione là prospettata di alzare nettamente l’asticella d’accessibilità dell’offerta potrebbe benissimo essere un’ottima opportunità di crescita anche dalle nostre parti. Basterebbe trovassero maggiore consapevolezza, e conseguente operatività, di essere parte di un territorio più ampio. Territorio ricco di fattori di attrazione e di opportunità di visita, ma ancora poco noto e poco comunicato ai turisti in diverse sue parti. La diversificazione dell’offerta e l’integrazione tra attrazioni e aree territoriali, potrebbe valere l’azzeramento dei paventati rischi e una crescita dei flussi turistici certamente più equilibrata di oggi.
In tutto questo ragionare e auspicare ecco che ti arriva la ciliegina sulla torta. Ciliegina come le conclusioni programmatiche del Food on the Edge International. Simposio che si tiene ogni anno in Irlanda alla presenza dei migliori chef del mondo per dibattere sul futuro del cibo e sul futuro dell’alta ristorazione. L’evento, che quest’anno si è svolto nuovamente a Dundrum, nei dintorni di Dublino, il 17 e il 18 ottobre, ha visto virare nettamente i temi principe verso la gastronomia sociale e la sostenibilità personale del mestiere.
I cuochi più à la page del mondo hanno messo seriamente in dubbio i parametri del fine dining, così lo chiamano, che difficilmente può andare avanti come in passato. Il discorso conclusivo è partito dal fattore aggregante dell’umanità dei cuochi, del loro essere persone che hanno dimenticato i comuni metri esistenziali, a cominciare dal tempo, assorti e distorti dal creare cibo. Non bastasse, per reggere il cambio netto di costi delle brigate, da pagare in modo adeguato, i prezzi dovrebbero aumentare tre volte rispetto a quelli attuali. Ma chi può affrontare, con la crisi energetica e la guerra intorno a noi, un pasto che possa arrivare a costare fino a 600 o 800 euro? Questa la domanda più diffusa.
Lo scenario prospettato non credo proprio certifichi la fine del fine dining, ma testimonia un problema del sistema che è sentito e che va risolto. Tornando poi all’introduzione albese, prima di puntare definitivamente tutto sull’alta, altissima gamma, io un pensierino su quanto emerso a Dundrum me lo farei.