Ecco un evento nella sua forma minima e più pura: qualcosa di scioccante, fuori posto, che compare all'improvviso e interrompe il flusso consueto degli avvenimenti; qualcosa che sembra emergere dal nulla, senza cause discernibili. Un'apparizione priva di un solido fondamento
Slavoj Žižek, Evento
L'evento è uno di quei concetti filosofici che non possono che affascinare: è il concetto che esprime l'eccedenza e il superamento stesso del concetto che tenta di esplicarlo. È quel concetto che passa dal mondo ideale della costruzione intellettiva al mondo concreto dell'inusitato, dell'inaspettato e, forse proprio per questo, del misterioso. L'evento è un bagno di realtà, è il pozzo in cui cade il filosofo, la svolta improvvisa che cambia direzione ai nostri pensieri, è la non linearità dei sistemi complessi e caotici. Possiamo dire che è la sconfitta di ogni nostro tentativo di imporre ordine ad una realtà orgogliosamente riottosa? Sì e no, a dire il vero. Sì, perché il nostro conoscere il mondo è sempre limitato a ciò che possiamo conoscere del mondo (e ciò che possiamo conoscere differisce sostanzialmente da ciò che noi stessi sviluppiamo nel tentativo di conoscere il mondo, lasciando il segno con la nostra azione) e no perché non necessariamente la natura dell'evento è quella di sparigliare le carte, rovesciare il tavolo e cambiare le regole del gioco senza essere riconducibile ad un qualche stato precedente. Certo è che l'evento, in quanto tale, ha il potere di rimodulare i rapporti di forza tra gli elementi di un campo dato.
E qui nasce il problema filosofico: se è davvero la novità assoluta, il cambiamento improvviso e inaspettato, l'irruzione di un senso altro che entra in scivolata a gamba tesa, come può essere giustificato? Come può trovare ragionevole spiegazione? Come poterlo comprendere? D'altro canto, se esso viene inteso come una qualche forma di emergenza di un senso insospettato e insospettabile, ma che comunque viene ricondotto a cause precedenti note o potenzialmente tali, in che cosa sarebbe nuovo? Non sarebbe meglio considerarlo una novità relativa - relativa alla nostra ignoranza che considerava, per esempio, in passato stregoneria semplicemente ciò che eccedeva le sue scarse possibilità conoscitive?
La contrapposizione estrema di queste due visioni (novità assoluta vs novità relativa) è stata al centro dell'interrogazione filosofica fin dai suoi primi vagiti e ancora oggi la posta in gioco è massima: il reale è positivo (tutto occupa un posto ordinato, pienamente conoscibile da mente umana) o negativo (l'ordine complessivo ci è interdetto dal nostro essere parte del tutto, per cui è la struttura stessa di ciò all'interno del quale siamo inseriti che ci impedisce di averne uno sguardo totalizzante come se sorvolassimo dall'alto di un drone l'estensione di un terreno agricolo)? A questa domanda la risposta, però, non può che essere: né positivo né negativo, perché tanto positivo quanto negativo! Positive sono le molteplici sfaccettature del reale ma che, in quanto tali, divengono negative perché introducono la negazione (la novità non è uguale a ciò che la precede) nella realtà.
La questione allora si fa di primaria importanza e la risposta, che si traduce nel concreto impegno filosofico, non può che affacciarsi alla vertigine stessa del pensiero: come possiamo pensare positivamente il negativo e viceversa?