Dio è un'ipotesi di cui non ho bisogno
Pierre-Simon de Laplace
Si narra che così il famoso astronomo Laplace (1749-1827) abbia risposto a Napoleone, nel presentargli la sua opera Trattato sul sistema del mondo, che lo interrogava sulla verità delle dicerie secondo le quali non avrebbe mai ipotizzato nel suo lavoro la necessità o quanto minimo la convenienza di un principio ordinatore intelligente. Questa è leggenda, ovviamente, e fiumi di parole sono già state spese per circostanziare l'evento. Qui non riprenderò le conseguenze dell'operato dello scienziato francese in ambito scientifico né nel dibattito attinente alla sfera della filosofia della scienza. Ne esaminerò solamente alcune interessanti ricadute filosofiche in senso stretto, ovvero legate alla comprensione e descrizione generale del reale.
Innanzitutto, rifiutare l'ipotesi stessa di un Dio creatore e organizzatore è la conferma di una visione del mondo immanentista: il principio primo che regola l'Universo non va fatto risalire ad un agente esterno che dall'alto della sua intelligenza e potenza organizza la materia caotica. Certo, il Dio creatore è cosa ben differente dal Dio organizzatore: se per il primo la materia è creata dal nulla per un atto di pura volizione che fa sì che, grazie alla potenza propria, dal nulla si crei qualcosa, per il secondo vale il principio di una manipolazione di un sostrato - una base - materiale già presente e priva di forma. Comune però a entrambi i modelli è il fare affidamento ad una forza esterna che trascende i limiti della realtà che si impegna a spiegare: il principio è trascendente.
Negare quest'ultima ipotesi allora comporta di necessità un riferimento tutto interno, la ricerca di una spiegazione che non debba fare riferimento ad una causa esterna. La causa di tutto è interna, frutto di una auto-regolazione e compito dello scienziato indagare e descriverla il più minuziosamente possibile. Affermare di non aver bisogno di Dio, nemmeno come ipotesi, ci conduce allora ad un nuovo modello, quello deterministico-deduttivo che ha - così asseriscono i suoi interpreti - la forza di descrivere il mondo a partire dalla concatenazione di ingranaggi logici - che poi sono in fondo i fenomeni reali stessi. L'idea deterministico-deduttiva è tanto semplice quanto, per certi versi, romantica: sono semplici i pilastri logici che sorreggono la realtà, ma da questa semplicità scaturisce la panoplia che ci circonda (dai fenomeni naturali alle creazioni mirabolanti dell'ingegno umano). Una narrazione che si lascia ammirare nello splendore delle sue geometriche forme deduttive.
Ho semplificato molto, ovviamente. Molte altre sono le soluzioni che la filosofia, la scienza e le religioni hanno saputo trovare (e innumerevoli gli argomenti per quelle sopra presentate). Ma il dato filosoficamente rilevante - indipendentemente dal modello cui si parteggia - è la ricerca stessa, il riflettere sul senso complessivo del cosmo, che ci vede coinvolti in esso, alla ricerca della migliore spiegazione: una sfida che fa tremare i polsi e che rende l'idea della bellezza di domande così vertiginose.