La filosofia e le sue voci - 17 dicembre 2022, 09:45

Una feconda tensione

Nuovo appuntamento con le riflessioni di Simone Vaccaro, per la rubrica "La filosofia e le sue voci"

Immagine elaborata da Arena Philosophika

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Conservo la mia vecchia opinione per cui essere un buon osservatore significa essere in realtà un buon teorico

Charles Darwin, Lettera a Bates (trad. di Paolo Vidali)

La domanda che soggiace a questa affermazione di Darwin è sicuramente una delle più complesse da affrontare perché ha la capacità di fare schierare sul medesimo terreno di gioco tanto la scienza quanto la filosofia. In realtà, è una domanda che nasconde ulteriori quesiti e che possiamo così esplicitare: è possibile una osservazione senza il riferimento ad un preliminare quadro concettuale entro il quale fare risaltare il fenomeno osservato? E la sua controparte: qual è il senso di una teoria che può fare anche a meno di una corroborazione osservativa? Se il primo quesito porta a chiederci se mai sia possibile osservazione pura, il secondo ci interroga sul potere esplicativo delle nostre teorie, sulla nostra capacità di descrivere la realtà e proprio sul potere effettivo delle descrizioni stesse. Realtà e descrizione, fenomeno osservato e teoria si trovano così ad essere in tensione.

Ma tale tensione deve necessariamente condurre ad una riduzione verso uno dei due versanti? Personalmente, ritengo che la risposta debba essere negativa. Difatti, come ricordato da Vidali stesso, non esiste osservazione senza reinserimento in un orizzonte teorico, esattamente come non esiste - meglio, è improvvido che esista - un inquadramento teorico totalmente astratto dalle osservazioni che ne comprovano la validità. Ogni osservazione sarà sempre guidata da una preimpostazione teorica che ne guidi il cammino; preimpostazione che, però, è da intendere più come un presupposto che come un pregiudizio. Per questo la scienza è il suo metodo, ed è il metodo scientifico che ha saputo rendere concreta la collaborazione tra le istanze descrittive e esplicative delle teorie. 

Certo, questo ha un portato non indifferente: l'idea moderna di una perfetta adeguazione della cosa all'intelletto - di chiara matrice teologica presente in una certa interpretazione del principio dell'adaequtio rei et intellectus di Tommaso d'Aquino - viene meno, o, più accortamente, perde parte della sua indubitabilità. Ci dobbiamo allora lasciare andare al delirio scettico della messa in questione di ogni verità? Oppure dobbiamo cedere alle lusinghe delle teorie cosiddette costruzioniste, che affermano essere la realtà nient'altro che una mera ideazione dell'intelletto umano? 

Come è da evitare la deriva ingenuamente empirista - esistono solo fatti bruti, senza bisogno di ulteriori spiegazioni che ne parvertitebbero la genuina spontaneità - così si tralascia una volta per tutte l'ipotesi idealistica della soggettività costruttrice. Piuttosto, tale considerazione pone al centro proprio quella tensione non ricomponibile nell'elevazione di uno dei due versanti a principio primo. Tensione allora che non va sciolta semplicisticamente, ma che va affrontata nella consapevolezza della sua fecondità e generatività, considerandola uno sprone alla prosecuzione dell'attività di ricerca, filosofica o scientifica che sia.

Simone Vaccaro

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