La filosofia e le sue voci - 18 febbraio 2023, 09:00

La felicità è lontana?

Nuovo appuntamento con le riflessioni di Simone Vaccaro, per la rubrica "La filosofia e le sue voci"

Immagine elaborata da Arena Philosophika

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Perché, quando siamo vivi, possiamo godere di una felicità pari a quella degli dei (...) anche se si sia ricevuta una diminuzione; ma se non si è in grado di sentire, in che modo si può ricevere una diminuzione? 

Epicuro, Lettera alla madre

Come è possibile essere felici? La felicità, cui tutti aneliamo, è davvero così semplice come sembra trasparire da queste cristalline affermazioni di Epicuro (341-270 a. C. circa)? Eppure la felicità è un dilemma ancora oggi, nonostante le risposte così nette di saggi uomini dei tempi passati. Se la felicità fosse così semplice, quasi elementare, perché soffriamo disperatamente? Se la felicità è la consapevolezza che l'essere vivi ci consente una felicità - almeno come possibilità in linea di diritto - pari a quella degli dei, perché non basta questa consapevolezza? Perché, anche consci di ciò, la felicità resta sempre l'orizzonte mai raggiunto entro il quale muoverci? 

In questa lettera alla madre - in quello che ci resta di questa lettera - Epicuro scrive con franchezza e con una coerenza argomentativa che tuttavia non nascondono un sincero affetto e comunque un trasporto emotivo importante. Ciò potrebbe sembrare essere in contraddizione con l'intera sua impostazione filosofica: compito del filosofo, grazie al fatto che conosce approfonditamente il cosmo e sa assegnare alle cose del mondo il giusto posizionamento valoriale (su questo aspetto cfr. Sellars, Sette brevi lezioni sull'epicureismo), è vivere libero dalle apprensioni della vita quotidiana, libero da tutto quel carico che appesantirebbe l'esistenza. L'uomo non è autosufficiente, è risaputo. L'uomo è bisognoso: è la nostra natura. Ma il modo di affrontare i nostri i bisogni è la cifra stessa del nostro essere umani. La felicità è la ricerca del piacere e l'evitare il dolore e il piacere è la realizzazione del bisogno. Ma. E il ma qui è fondamentale. L'epicureo non pensa ad un uomo che non desideri o che si renda astratto dal contesto nel quale si trova a essere. Certo, il motto "vivi di nascosto" sembrerebbe predicare una vita eremitica o quanto meno cenobitica, cosa che in parte fu; ma è proprio a partire da lettere come queste che si può mostrare la dimensione profondamente umana della filosofia epicurea.

Cosa dice il filosofo a sua madre? Due sono gli argomenti principali: 1) la distanza non è sinonimo di affievolimento. I legami stretti in vita, proprio perché possono subire diminuzioni, rotture e infrangimenti, sono assai saldi. Non dobbiamo temere le possibili perdite, né le distanze: le immagini che si condensano in ricordi o in nostalgie saranno la presenza di un presente felice; 2) la ricchezza non è l'opulenza di chi pensa che i nostri bisogni siano artefatti da raffinatezze ricercate: la naturalità, il non eccessivo, il giusto ragionevole (versione aggiornata del giusto mezzo aristotelico) sono i compagni migliori per una vita felice. Per questo la lettera si conclude con la richiesta di non inviare altro denaro o cibo. 

Per quanto traspaia un sincero affetto, la razionalità argomentativa lascia un senso di algidità, di freddezza e di distacco. Ma forse questo è dovuto al fatto che Epicuro si mostra con queste parole come il sapiente che ha raggiunto l'ataraxia, la "tranquillità dell'animo", in grado di vivere così senza "desideri frustrati" e "ansia del futuro" (cfr. Sellars).

Simone Vaccaro

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