“Lavorare stanca, allora leggi” compie un anno!
La mia piccola rubrica di letture astigiane per La voce di Asti, nel corso di questi mesi ha dato vita ad una trentina di articoli con lo scopo di conoscere, approfondire e condividere libri di autori locali, iniziative culturali, consigli su agnolotti, Barbere e poesie ma soprattutto: il fuoco che anima le persone di cui racconto.
Per questo sono certa che la rubrica vivrà ancora parecchio: finché sentirò il calore di queste fiammelle attorno a me continuerò a scriverne!
A proposito di ricordi, la scorsa estate presentai a Castelnuovo Belbo uno dei libri di Daniela Grassi.
Di Daniela dissi che era una donna vestita di bianco, con collane corallo che beveva il succo di mirtillo.
Quello che non dissi è che dopo la presentazione mi regalò tre libri: due saggi scritti da lei e il diario di Etty Hillesum. Il suo gesto di attenzione e cura nei miei confronti mi commosse.
Però, i suoi saggi, uno sull’anima e uno sulle differenze culturali, li accantonai in libreria.
Da poco sono andata con mia zia a pranzare in un kebab, anzi forse sarebbe più corretto “Kebap” ma io pronuncio Footlocker “Footlucker” e quindi non faccio testo.
Comunque, questo kebap è abbastanza conosciuto ad Asti, è quello in Piazza Leonardo da Vinci: BOTAN 2.
Un posto semplice, pulito, luminoso in cui ci ha accolte una ragazza sorridente e timida che affianco aveva il celebre spiedo della carne, quello che non sai mai davvero se è lui che gira eternamente o se è il mondo che gli ruota attorno, e davanti una colorata vetrina zeppa di piatti e pirofile colme di cibi mai visti.
Io e zia ci siamo guardate e abbiamo scelto di sperimentare e di assaggiare il diverso ben consapevoli che è proprio lì che sta la ricchezza, lo stimolo.
Mussaka, borek con salsa yogurt, polpette di ceci, kofte, pane e dolci turchi.
Una cosa indescrivibile.
Consistenze, odori, sapori. Le mie papille esplodevano e ho ringraziato tantissime volte la ragazza per non aver messo il cumino in nessuno dei piatti.
Abbiamo iniziato a chiacchierare con lei ancora in estasi dai gusti e mia zia è rimasta colpita dalla sua mostarda; ci ha raccontato di come, quella della mostarda, sia una ricetta di sua mamma; mia zia ha preso appunti su alcuni procedimenti che facevano in modi opposti; ci ha raccontato di come cucini tutto lei e che quel dolcino al pistacchio con la pasta fillo ha bisogno di 48 ore di cottura; ci ha raccontato di come non veda sua mamma da dieci anni, della guerra.
Io continuavo a ringraziarla per aver evitato il cumino.
Siamo uscite frastornate. Piene, felici, appassionate: vive.
Così ho ripensato a quel piccolo libricino sulle diversità culturali che avevo in camera.
L’ho letto la notte stessa.
Il titolo è “Il cerchio magico. Narrazioni e dialoghi sulla ricchezza culturale dei popoli” curato da Daniela Grassi ma scritto a più mani con Paolo De Benedetti (biblista), Padre Georghe Vasilescu (pope della chiesa ortodossa), Zarif Beganovic (capo famiglia rom), Carla Osella (sociologa), Livia Blecich (profuga) e altri collaboratori del Centro culturale San Secondo.
Ambientato ad Asti, parla di Asti in ogni capitolo: la comunità ebraica astigiana, quella dei migranti, i rom, i sinti e gli albanesi. Ci sono tradizioni, gesti particolari, matrimoni, funerali e comportamenti per noi assurdi.
È una passeggiata tra le minoranze di Asti.
Niente di utopico, solo uno specchietto di storie altrui che per un attimo distoglie l’attenzione da noi stessi.
Io un po' l’ho visto lo shock culturale negli occhi di mia zia che lei, il bicarbonato nella mostarda non ce l’ha mai messo. Mostarde diverse ma né migliori e né peggiori: diverse.
Porsi in ascolto e assorbire o concepire altri modi di esistere rispetto al proprio è faticoso. Doloroso, talvolta.
E quindi che fare?
Una volta qualcuno mi disse “quando mi reputo la persona più interessante nella stanza, divento noioso”.
E forse questo è il primo passo. Essere disponibili alle esperienze quotidiane di incontro.
Cominciare da una persona, fare un tentativo.
Accendere una lucina sepolta dalla paura e dal pregiudizio.
Forse è questo che abbiamo sentito uscite dal kebab: l’appagante senso di poter essere, ognuno con la sua storia, a casa insieme a proprio agio nel cerchio magico.