Per accompagnarti nella lettura di questa intervista ti consiglio la canzone Ti amo, di Umberto Tozzi con Anastacia, contenuta nella playlist "Orgoglio Astigiano" su Spotify
Incontro Gilberto, Gilberto Pavanello, nella sua bottega di Villa San Secondo.
Mi stava aspettando facendo gli agnolotti e le tagliatelle, nël negòssi ‘d pais.
Quando entro in negozio e gli stringo la mano mi riaffiorano alla mente i ricordi d'infanzia. Resto affascinata da questo posto senza tempo, da questa grotta di tradizioni immersa nella foresta della modernità.
Guardo "tutto questo"
"Andiamo di sopra", mi dice. Prima di iniziare l'intervista mi porta in terrazzo. "Vedi, Elisabetta? Tutte le mattine mi sveglio e guardo tutto questo". Davanti a noi un panorama mozzafiato. Colline morbide e multiformi, dai colori accesi stemperati dal grigiore del cielo.
Sono senza parole e non ho ancora iniziato a fargli le domande.
Gilberto, raccontami un po' la tua storia, che so essere particolare. Quali sono le tue origini?
Sono nato in Polesine (Rovigo) il 24 marzo 1950. La mia era una famiglia numerosa. Sono il numero 9 di 10 figli. Avevo appena un anno quando ci fu l'alluvione. Era nel novembre 1951.
Cosa accadde?
Ero uno sfollato, uno dei tantissimi. C'ero anche io tra quei 180mila senzatetto, quelli che non avevano più niente. Nemmeno la famiglia, non sapevo più dove fosse. E così andai sei mesi a Firenze. Con una nuova famiglia. Ogni anno i miei parenti vengono a Villa San Secondo un paio di volte.
Ma come sei arrivato a Villa San Secondo?
A Villa San secondo sono venuto quando mi sono sposato con mia moglie Laura, 52 anni fa. C'erano già rapporti con il Piemonte, nel senso che parte della mia famiglia si era spostata a Scurzolengo e poi a Murisengo. E dopo qualche anno di matrimonio io e mia moglie Laura abbiamo deciso di rilevare questa piccola bottega di paese. Era il 1974. Ora a lavorare siamo in cinque, con mia figlia Luisa. Ci siamo presi dei rischi, ma ora possiamo dire che ce l'abbiamo fatta.
L'amore per Villa. Tutta una vita, più che casa
A Gilberto si illuminano gli occhi. Capisco che l'amore per Villa San Secondo sia un qualcosa di inspiegabile. Provo a chiedergli che cosa significhi per lui questo bellissimo paesino.
Villa per me è più che casa. Ci ho scommesso, ho messo tutta la mia vita a Villa e per Villa. Qui mi sono innamorato di mia moglie e qui ho sempre lavorato. Per 30 anni sono stato presidente di questa pro loco, che poi era stata chiusa. Ora lo sono di nuovo ed è bellissimo.
Che cosa significa per te la pro loco?
La pro loco salva la vita di ogni paese. Esserne parte significa promuovere manifestazioni, anche quelle più storiche, portarle avanti, tenere insieme le persone. Pro loco significa volontariato, significa non chiedersi mai perché lo stai facendo. Significa amare il proprio paese. Oggi qui siamo in 40, stiamo coinvolgendo anche ragazzi e bambini. Lavoriamo tutti con un grande amore.
A proposito, pensi che l'Astigiano sia sufficientemente valorizzato?
Diciamo che c'è tanto da fare ancora, secondo me. Abbiamo bisogno che specialmente i più giovani si avvicinino, anche alle tradizioni. Per farlo dovrebbero essere più sostenuti anche dalle famiglie. Non solo in pro loco ma per qualsiasi evento e occasione bisogna amare il proprio paese, essere positivi. Si può fare tutto nella vita e c’è un modo solo per crescere: bisogna lavorare. Ho fatto 60 anni di lavoro e sono ancora carico come prima. I nostri prodotti, ora, sono ricercati: vengono apposta da Torino. Girano molti stranieri, sono così belli i nostri paesi, anche le amministrazioni dovrebbero iniziare a crederci, crederci davvero. Dobbiamo muoverci. Siamo in un territorio vergine, c’è tutto da fare ma abbiamo bisogno anche di lavoro, di aziende.
Ce l'hai un luogo del cuore?
Casa mia è il mio luogo del cuore. Ma non sempre per lavorare, anche per prendere un aperitivo, giocare con i bambini, stare con mia moglie.
Quando parli del passato si percepisce una sana nostalgia... dimmi...
Quelli della mia età hanno vissuto il periodo più bello della storia. Erano anni che con niente potevi essere soddisfatto, non avevi bisogno di tante cose. Le famiglie erano povere, ma gli insegnamenti erano tantissimi. E poi... da giovane mi chiamavano "Il rubacuori della Val Cerrina" (ride, ndr). Che dirti, Elisabetta? Siamo i ragazzi del 1950.
Siamo i ragazzi del 1950
Quando pronuncia questa frase sento che qualcosa in me cresce. Gilberto mi ricorda mio nonno, tantissimo. Quel modo che ha di raccontare la sua vita, quella nostalgia dei tempi passati, quel sano ardore negli occhi, quel qualcosa che anche mio nonno aveva e che mi manca così tanto. Quanta tenerezza in una sola frase. Mi guardo dentro, mentre Gilberto continua a parlare. Anche nonno si è sempre definito un ragazzo. Fino alla fine.
E che consigli ai ragazzi di oggi?
Non so cosa cerchino i giovani, sono spesso insoddisfatti. Il mio consiglio è quello di studiare, di avere una base di studio, ma abbiamo anche bisogno della manualità. Le condizioni di oggi sono difficili. I giovani sono spesso poco aiutati dalle famiglie, non è vero che non hanno voglia. Hanno pochi esempi a cui guardare. Io ce l’ho fatta da solo, ma con la mia famiglia, che è stata fondamentale. Alla mia età sbaglio ancora, mi recupero e cambio, ma cerco di fare le cose al meglio. Se vuoi riuscire devi lavorare bene. Nel mio caso, lavorare sulle materie prime di qualità ad esempio. Mi documento, sperimento, faccio ricerca, faccio prove, mi consulto con un caro amico cuoco.
Quali sono le tue specialità?
Il nostro è un negozio tradizionale, ma le nostre specialità sono gli agnolotti e la salsiccia. Ci dicono che siamo un punto di riferimento per la qualità dei prodotti. Facciamo agnolotti speciali, anche d’oca. Stamattina abbiamo fatto il classico piemontese, spinaci e ricotta e anche ripieni di zucchina nostrana e robiola di capra. Faccio spesso prove, partendo dai prodotti di stagione.
Che dicevi a proposito del lavoro manuale?
Oggi la manualità penso sia poco richiesta sul mercato, ma ognuno nel suo specifico settore ha tanto da dare. Abbiamo un patrimonio di cose nelle mani e nella mente, che potrebbe essere messo a frutto nelle scuole. C’è sempre da imparare. I ragazzi se li lasci andare loro vanno, imparano. È tutto un crescere, un farsi una cultura.
Il paese era pieno di artigiani che ora non ci sono più e nessuno ha preso il loro posto. Noi invece ci abbiamo creduto. Bisogna lavorare e rischiare. Semplice, no?
Vincerà l'Amore
Prima di salutarci mi fa assaggiare prosciutto cotto e prosciutto crudo appena tagliati. Una favola. Mi stringe la mano. Lo ringrazio per tutto quello che mi ha dato. "Grazie a te, che ci hai creduto".
Ho i brividi.
Uscendo dal locale faccio caso a una cartello affisso all'ingresso, che prima non avevo notato.
"Vincerà l'Amore".
Ecco, è qui il cuore dell'intervista. È questo tutto quello che volevo dirvi.
Il saluto agli amici della voce di Asti