La filosofia e le sue voci - 16 settembre 2023, 09:00

The sad man's parade

Nuovo appuntamento con le riflessioni di Simone Vaccaro, per la rubrica "La filosofia e le sue voci"

Immagine elaborata da Arena Philosophika

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Ci sono situazioni nelle quali le persone sono condannate a dare spettacolo

Milan Kundera, L'insostenibile leggerezza dell'essere 

Estrapoliamola dal contesto specifico del noto libro dello scrittore recentemente scomparso e proviamo a universalizzare, a fare operazione di astrazione: cosa ci mostra questa frase? Direi l'essenza di un regime. Risposta, la mia, per altro non troppo disallineata con quella proposta da Kundera stesso (che compare nella parte VI, paragrafo 21, capitolo dal titolo La Grande Marcia). Ora, perché un regime verrebbe descritto - direi minuziosamente - da questa constatazione? Ci arriveremo; ma prima una piccola tappa su di una seconda questione, strettamente affine alla prima, ci permetterà di affrontare il problema principale con maggior contezza. 

Si dice che studiare filosofia "apra la mente" e che permetta di sviluppare una matura coscienza critica. Ma solo la filosofia rende ciò possibile? Le scienze, la letteratura, l'arte, la storia non avrebbero questa potenzialità quasi taumaturgica? Concordo con il professor Mugnai: coscienza critica e apertura mentale non possono essere riportate solamente all'insegnamento della filosofia. È più una questione di cultura, di educazione e di formazione. E qui viene il punto; a chi dovesse chiedere per quale motivo si debba studiare, - e faticare, perché lo studio è fatica e esercizio costante - una buona risposta potrebbe essere: per cogliere la bellezza delle cose. Chi, infatti, può dubitare di quanto sia bella una formula matematica o una dimostrazione geometrica? Chi della perfetta musicalità di un Omero o un Ovidio o di un Goethe, di un Bashō o di un Bonnefoy? Chi della grandiosa casualità del processo evolutivo? Studiare per vedere la bellezza, per saperla scovare, pazientemente, e quotidianamente.

E questo ci riconduce al nostro punto di partenza. Un regime questo è: costringere alla risposta immediata. Siamo soliti pensare che la cifra propria di ogni regimentazione sia la limitazione della libertà di espressione; tutto vero, ci mancherebbe. Ma ritengo che quest'ultima sia conseguenza o meglio, necessario corollario di un principio più sotterraneo e infingardo: quello che obbliga a parlare, a rispondere, a dire. Quello che costringe alla Grande Marcia, a quella parata dell'uomo triste che si trova costretto a ribattere immediatamente, senza la mediazione di una seppur minima dilazione temporale all'interno della quale impegnarsi per cogliere quel barlume di bellezza. Ciò che Kundera sembra dirci appare come una delineazione stilizzata, formale, del carattere totalitario di un regime: imposizione a rispondere, imposizione della risposta, imposizione del rumore. È bandito il silenzio della meditazione, della riflessione e della contemplazione della bellezza. È tuttora un'educazione estetica a venir meno in un regime. Al bello si sostituisce il Kitsch (non a caso il vero protagonista del capitolo); alla gioia al cospetto dello spettacolo del mondo la triste parata di chi non può fare altrimenti. 

Simone Vaccaro

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