Toki: "Maestro. Questo vuol dire.. che anche io diventerò un drago?"
Maestro: "Chi lo sa… Puoi deciderlo tu. Però… da' un bel calcio a chiunque ti ordini di diventarlo"
Aki Irie, Tabi. The Journey of Life.
Ritorno su di una tematica già affrontata negli episodi precedenti, ma questa volta da una angolazione differente. A fornirmi lo spunto è stato il ritornare con la memoria alla raccolta di racconti della sensei Aki Irie Tabi, e in particolar modo del toccante Il viaggio di Toki. Si tratta del cammino della giovane Toki che, attraverso una serie di spericolate esplorazioni tra deserti e montagne ghiacciate, raggiunge, insieme al suo maestro, una catena montuosa, che altri non sarebbe che la madre-drago della ragazza, trasformatasi una volta giunta al termine della sua esistenza. Da qui inizia il vero viaggio per Toki, quello che l'autrice del manga ha deciso di non raccontarci: quel viaggio di crescita che la porterà, un giorno, forse e se vorrà, a divenire essa stessa drago e, infine, catena montuosa.
Possiamo allora dire che, comprese le proprie origini, venuta a sapere del proprio pedigree, per così dire, e consapevole del proprio DNA, il cammino che intraprenderà sarà una discesa finalizzata alla piena realizzazione della sua natura? Il maestro è tranchant: non è detto. Nessuno lo può sapere. Potrebbe anche mai trasformarsi in drago. Ma come è possibile, dato che il suo destino è inscritto nel suo DNA? Come può dipendere da lei, se è destinata a diventarlo fin dal principio?
Il problema filosofico è qui lampante. Non è tanto se io possa essere o meno artefice del mio destino - il paradigma sopravvalutato dell'homo faber; né se il mio destino si debba considerare inscritto nel perimetro di un ordine trascendente che rende fattuale quanto stabilito prima dei tempi. Qui è in gioco il rapporto libertà-destino ad un livello estremamente più intimo che la libertà psicologica o politica. A essere in palio è la libertà come statuto ontologico, la libertà come modo di essere di un destino. Si è come sospesi su di una lama: da una parte la rarefazione - che dà alla testa - della libertà lasciata a se stessa, dall'altra l'abisso di una destinalità che sfocia nella predestinazione. A sostenere entrambe, una concezione finalistica che vede nel raggiungimento del fine la ragion d'essere dell'esistenza umana.
Ecco, allora, che sorge la domanda filosofica: come è possibile pensare l'alternativa libertà/destino disarcionandola dalla contrappositiva dicotomia (o l'una o l'altra) per situarla sulla linea di confine che vede l'unione delle due istanze contrapposte? Non a caso, credo, è proprio sulle battute da cui siamo partiti quest'oggi che si conclude la storia (nonché la raccolta): solo crescendo potremmo dare forma alla risposta e grazie all'impegno filosofico offrire una matura riflessione su quella risposta che noi stessi siamo divenuti.