La filosofia e le sue voci - 18 novembre 2023, 09:00

Una fragile brillantezza

Nuovo appuntamento con le riflessioni di Simone Vaccaro, per la rubrica "La filosofia e le sue voci"

Immagine elaborata da Arena Philosophika

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Nessuna società può essere totalmente giusta, ma solo giusta, o ingiusta, in misura maggiore o minore

Ágnes Heller, Oltre la giustizia

Questa bella citazione, che si trova come esergo del capitolo dedicato alla giustizia riparatrice del volume La giustizia introvabile del professor Portinaro, ci porta dritti dritti nel cuore di una questione filosofica delle più dirimenti: la giustizia. E per quanto la tematica in oggetto sembra essere più consona in altri contesti - strettamente politico e giuridico -, la giustizia presenta una spiccata connotazione filosofica. E questo non solamente per l'ovvia interrogazione ontologica (espressa dalla domanda: "che cos'è la giustizia?"), ma anche per una connaturalità originaria. Una teoria della giustizia, in poche parole, sarebbe indisgiungibile dall'atto stesso del filosofare. Affermazione che troverebbe conferma nelle tesi presentate dal professor Grecchi, per esempio, il quale si è speso in anni recenti a dimostrare quanto la filosofia sia sorta anche - per non dire soprattutto - per fornire risposte concrete alle esigenze di organizzazione, di gestione e distribuzione delle risorse nelle prime polis e, ancora più anticamente, nelle società palaziali cretesi. 

Se a questo aspetto di coessenzialità aggiungiamo quello più specificatamente concettuale, il quadro assume contorni maggiormente definiti: è la filosofia che deve fornire una attenta e rigorosa indagine sul concetto stesso di giustizia, per coglierne potenzialità, frontiere e rischi intrinseci. È la filosofia che deve testarne le pretese e figurare scenari all'interno dei quali dare seguito concreto a quanto preliminarmente riflettuto. Ed è sempre la filosofia ad essere impegnata in un attento lavoro di discernimento, di recupero di una compostezza che l'affermazione di una giustizia a priori cancellerebbe irrimediabilmente. Operazioni che avranno, come è logico aspettarsi, un effetto benefico sulla filosofia stessa: le impediranno di rinchiudersi nella torre d'avorio che spesso e volentieri essa si erge intorno, spronandola a sporcarsi le mani con una realtà poco addomesticabile. 

Difatti, Ágnes Heller, l'autrice da cui ho preso spunto oggi, vuole proprio intendere questo (e con lei anche il professor Portinaro): la giustizia non è mai l'avvento della chiarezza senza ombra, della luce privata definitivamente dell'oscurità. Non è mai asettica. Se la giustizia è già in sé introvabile, ancora più introvabile è la giustizia definitiva, ultimativa, quella che non lascia spazio a nessuna gradazione possibile. Giustizia da Giudizio Universale, inappellabile perché proveniente da una realtà che di umano non ha nulla. Di fatto, già gli antichi ne erano pienamente coscienti; nulla è più ingiusto di una giustizia ferma nelle sue deliberazioni: fiat iustitia pereat mundus. E non è neanche necessaria, a ben pensarci. Il bello della giustizia risiede proprio nella sua fragilità che dovrebbe infiammare i nostri animi a prendersene cura. Forse è questo l'aspetto filosofico più importante in riferimento alla giustizia: non dobbiamo attendere che sia lei a prendersi cura di noi, ma viceversa. Tocca a noi prendersi cura di lei e della sua fragile brillantezza.

Simone Vaccaro

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