La filosofia e le sue voci - 16 dicembre 2023, 09:00

La scoperta traumatica

Nuovo appuntamento con le riflessioni di Simone Vaccaro, per la rubrica "La filosofia e le sue voci"

Immagine elaborata da Arena Philosophika

Immagine elaborata da Arena Philosophika

 

Ma che, dunque io dovrò morire un giorno? Come! io morirò? io che parlo, che ascolto, che mi tocco, io potrei morire?

Xavier De Maistre, Viaggio notturno intorno alla mia camera

Domanda-rivelazione! Io posso morire? Ebbene sì, io posso morire. Scoprirlo è traumatico. Per quanto sia un'ovvietà che non meriterebbe attenzione - è logico che io sia destinato a morire! - il saperlo e il viverlo non sono minimamente equiparabili. Mi spiego meglio. So, conosco le sofferenze del parto. Il mio è un sapere esterno, libresco: so quale sconvolgimento possa generare nel corpo della partoriente; ne conosco le pericolosità e i rischi. Documentandomi un po', sarei in grado di elencare gli organi coinvolti e le fluttuazioni ormonali che scuotono il corpo della madre. Saprei moltissime cose, ma sarebbe un sapere freddo, meccanico, quasi metallico. Il mio limite è che non posso viverlo: posso vivere il parto come padre, partecipare della gioia della nascita, ma non potrei mai sperimentare sulla mia pelle la sensazione di una vita che cresce e che viene al mondo. Quello resterà un segreto, il segreto primordiale tra madre e figlio. Ma facciamola più semplice: siamo tutti spettatori di uno film al cinema, di uno spettacolo a teatro o lettori di questo articolo. Ognuno di noi sarà al cinema a teatro o di fronte al cellulare o al pc; ognuno di noi avrà la propria esperienza, la propria prospettiva e la propria percezione. Che non sarà la mia.

Si capisce meglio allora quanto sconvolgente possa essere il comprendere di dover morire. Si muore, e noi siamo abituati a questa impersonalità del morire. Xavier De Maistre stesso fa affermare al protagonista del suo viaggio notturno che la morte altrui, in fondo, è ben la norma. Se proprio devo personalizzare la morte, la personalizzo nella figura del moribondo altro: non sono io a morire, ma è l'altro che muore, ogni giorno. Non è sconvolgente dopo tutto: l'altro si rinserra nella sua alterità, è un'altra monade, una sfera che solo contingentemente è venuta a toccarmi o sfiorarmi. La morte dell'altro non è sconvolgente perché rende manifesto quel si senza altri, prima degli altri. Se altri ci sono è perché emergono dal si impersonale. Però io stesso sono un'emersione da quel sì! Io stesso sono un altro che si muore - per così dire - agli occhi dell'altro. E tutto questo è sconvolgente perché io mi scopro alterità. Alterità tra alterità. Né più né meno che un'altra alterità per coloro che sono la mia alterità. 

Siamo così a riunire i fili: non vivrò mai l'esperienza che tu stai vivendo. E tu non vivrai mai la mia. Io e te moriremo, entrambi. Non c'è via di fuga. Dopotutto, si muore, no? Ma è proprio a partire da questo rumore di fondo che mi scopro - che ci scopriamo - reciproca alterità. È solo nel lasciar emergere la molteplicità dell'alterità dallo sfondo impersonale che si potrà sviluppare un pensiero della reciprocità e vivere eticamente. Si muore, è vero: ma la morte è sempre la mia o la tua. Oracolo della rivelazione? Custodire quel mio, tuo, suo… senza ridurlo ad un sapere astratto o al si passivante.  

Simone Vaccaro

TI RICORDI COSA È SUCCESSO L’ANNO SCORSO A APRILE?
Ascolta il podcast con le notizie da non dimenticare

Ascolta "Un anno di notizie da non dimenticare" su Spreaker.

Telegram Segui il nostro giornale anche su Telegram! Ricevi tutti gli aggiornamenti in tempo reale iscrivendoti gratuitamente. UNISCITI

Ti potrebbero interessare anche:

SU