La filosofia e le sue voci - 23 dicembre 2023, 09:00

Il nostro desiderio

Nuovo appuntamento con le riflessioni di Simone Vaccaro, per la rubrica "La filosofia e le sue voci"

Immagine elaborata da Arena Philosophika

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I just want you to know who I am

Goo Goo Dolls, Iris

Assai retoricamente campeggia nei testi di moltissimi maître à penser il ritornello: "sii te stesso". Retoricamente perché, contrariamente a quanto si è soliti affermare, essere se stessi è al di qua del semplice e del complesso. Essere se stessi è la cosa più naturale che ci sia. Noi, difatti, non possiamo che essere noi stessi perché non possiamo che relazionarci con il mondo a partire dal nostro peculiare punto di osservazione, dal cantuccio che occupiamo, da quella porzione spazio-temporale che ci è toccata in sorte. Essere se stessi è la precondizione di ogni nostro inserimento non patologico nel mondo, del fatto che entro in commercio con lui e, di conseguenza, con gli altri. Essere se stessi significa incarnare la propria posizione, il proprio spazio: essere lo sguardo che getta una certa luce, unicità tra unicità. Di per sé è impossibile non essere se stessi dal momento che altrimenti non si avrebbe prova della propria esistenza. Esisto e so di essere: questa è una prova più che sufficiente della nostra identità a sé.

Ma, mi si potrebbe ribattere - giustamente peraltro: allora perché è così difficile percepirsi aderenti a sé? Perché è così complesso accettarsi, capirsi, perdonarsi? E inoltre, perché è così complicato relazionarsi con gli altri? Perché si ha sempre più spesso la sensazione di passare incompresi? Perché sembra sempre più pervasiva l'atmosfera di incomunicabilità tra le persone? Forse l'ottimismo di partenza deve essere contemperato da una fattualità un po' deprimente, a dire il vero, ma che pur sempre è la registrazione di un dato di fatto. Se essere se stessi risulta così pacifico, da dove si generano i conflitti che percorrono quotidianamente le nostre città? Quei piccoli conflitti, tra colleghi, tra amici, tra semplici passanti? Se tutti davvero ci riconoscessimo in quanto noi stessi, non potremmo vivere di per sé più pacificamente e più rispettosamente? 

Ed è, credo, proprio questo la nota dolente: il riconoscimento. E il nostro desiderio che arde al di sotto di ogni nostra azione: voler farci conoscere per quello che siamo. È molto romantica, per così dire, la frase da cui sono partito oggi. Non desidero che tutti conoscano chi io veramente sia; basta che a conoscerlo ci sia tu (la persona amata o la persona amica). Mi basta questo per essere felice, tanto che gli altri possono anche non vedermi (anzi, non voglio nemmeno farmi vedere) perché comunque non capirebbero ("[a]nd I don't want the world to see me / 'Cause I don't think that they'd understand"). Il mio me stesso è un gioiello prezioso che condivido solo con coloro che meritano. Ma è proprio questo il senso della canzone? Oppure espone un problema più grande, più generale? Forse quel "tu" non è un "tu" specifico, bensì uno generico. Noi si è sempre un tu per un io. È questa consapevolezza che sconvolge, ma che allo stesso tempo è il carburante di ogni relazione: noi siamo un intreccio di se stessi, io e tu, reciprocamente io e tu. Ed è da questa mutualità fondamentale che nasce il rapporto, la comunicazione. È in questa comunicazione che veniamo riconosciuti dagli altri in qualità di se stessi. 

Simone Vaccaro

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