La filosofia e le sue voci - 30 dicembre 2023, 09:00

Un'estetica del brutto?

Nuovo appuntamento con le riflessioni di Simone Vaccaro, per la rubrica "La filosofia e le sue voci"

Immagine elaborata da Arena Philosophika

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Un'estetica del brutto? E perché no?

Karl Rosenkranz, Estetica del Brutto

Con queste parole si apre la lunga ricerca condotta dal filosofo Karl Rosenkranz (1805-1879) alle radici del senso del brutto. Anche in contesti non dichiaratamente tecnici, si è soliti attribuire al termine estetica un significato positivo, che porta la sua attenzione all'aspetto bello dell'oggetto in esame, alla sua misura e al suo ordine. Il senso estetico viene connotato come capacità di cogliere la gradevolezza della forma, la commensurabilità di una parte con il tutto: di dare una conformazione a ciò che è difforme, a ciò che necessita di un intervento per trovare collocazione. Ogni cosa ha il suo posto e per ogni posto vi è - e vi deve essere - una cosa. Estetico, nel linguaggio non strettamente filosofico, è la materializzazione della soprannumerarietà impossibile: nulla deve eccedere il prestabilito o, per meglio dire, il convenzionato. L'estetica è allora quella capacità pienamente pragmatica di adeguarsi a ciò che si ritiene bello.

E dunque, come è possibile, anche solamente pensare, un'estetica del brutto, se il brutto è proprio ciò che scardina quel senso estetico votato alla purezza della positività - ovverosia, la bellezza?  In questa direzione si muove il filosofo che, con grande originalità, fonde due notevoli paradigmi per uscire dalle secche di una riflessione che rischia l'infeltrimento. I due modelli da cui prende le mosse sono, infatti, il sistema hegeliano da un lato e il criticismo kantiano dall'altro. Si badi bene però: la sua proposta non si può derubricare come commistione sincretica dei due differenti orizzonti - si assisterebbe difatti, negli esiti, ad un confuso calderone di idee e di concetti, quanto più ad una autentica riflessione che prende spunto dalle domande al cuore delle filosofie dei suoi due predecessori, per condurre a una rielaborazione ragionata delle rispettive prospettive. 

Tanto Kant che Hegel ci hanno insegnato moltissimo sul mondo della concettualizzazione estetica. Per entrambi, il motto "non è bello ciò che è bello, ma è bello ciò che piace" è una bestialità filosofica bella e buona, esattamente come la demonizzazione e l'emarginazione del brutto dall'esercizio del pensiero, manifestazione concreta della povertà intellettuale del sedicente filosofo. Ovviamente, le risposte avanzate dai due divergono: per Kant, l'analisi del bello devo portare alla scoperta di quelle fondamentali condizioni di possibilità attraverso le quali noi costituiamo il bello. Detto in parole più semplici, per il filosofo di Königsberg il bello (e la sua controparte, il brutto) sono tali perché griglie di valutazioni universali fanno sì che i soggetti possono rivolgersi ad un determinato oggetto e coglierlo bello (o brutto). Non è bello ciò che piace, ma ciò che trova corrispondenza in questi universali. E così per la bruttezza. Con Hegel il panorama cambia: il brutto è il momento negativo dell'Essere, l'azione che l'Essere stesso compie, di uscire da sé per poi potersi recuperare nella bellezza. Se il vero soggetto è l'Essere in quanto Assoluto, il brutto ne diviene un momento, astratto, che cerca di essere ripreso e portato a compimento nel bello. 

Rosenkranz si pone allora sulla linea di tiro di questi giganti del pensiero per uscire con una teoria che sappia cogliere il meglio delle due teorizzazioni: con Kant, il brutto ha un valore universale - che non deve essere però ricercato negli schemi che noi adoperiamo per dare senso al mondo, ma che lo ritrova in sé come momento dell'essere, mostrando prossimità con Hegel; con Hegel, il brutto viene tematizzato come componente essenziale dell'essere, senza però essere inteso come momento astratto - proprio perché ne è stata riconosciuta la validità universale.  In questo senso è notevole lo sforzo di Rosenkranz: interrogare quella situazione al limite e portare la filosofia alla massima vertigine.

Simone Vaccaro

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