Storie di Orgoglio Astigiano - 20 gennaio 2024, 12:45

Storie di Orgoglio Astigiano. Matteo Cocciardo, da Inrecruiting a Zucchetti: "Asti? È casa, ma non fa network. Serve andare oltre il confronto con se stessi o con il proprio vicino"

40 anni, ha creato un sistema digitale che aiuta le aziende a trovare risorse umane, recentemente acquisito da Zucchetti. 1500 clienti nel mondo e la gestione di 30 milioni di candidati. È anche socio del "Forno Peppino" di Asti, che definisce "una vera e propria bakery data driven"

Matteo

Matteo

Per accompagnarti nella lettura di questa intervista ti consiglio la canzone Put your records on, di Corinne Bailey Rae, contenuta nella playlist "Orgoglio Astigiano" su Spotify

Se dovessi riassumere in pochissime parole l'incontro con Matteo Cocciardo sicuramente direi "una fantastica scoperta".

40 anni, astigiano, fa cose incredibilmente complesse che hanno a che fare con la tecnologia. Cerca di spiegarmele davanti a un caffè, dopo che gli dico che sono un'umanista che subisce il fascino del 3.0 ma che probabilmente non ci capirà niente.

Matteo è Product Director Inrecruiting and Inda (Zucchetti Spa), HR Tech & Talent Acquisition Tech Artificial Intelligence (AI) for HR. 

Praticamente si è inventato, ai tempi dell'università, una specie di piattaforma digitale che vende alle aziende per trovare e selezionare personale, comprendendo anche la fase del colloquio e una sorta di database dei vari curricula. Un connubio ossimorico: risorse umane e tech, estremamente affascinante.

Matteo, raccontami un po' l'inizio dei tuoi studi

Ho fatto lo Scientifico ad Asti, per poi scegliere Ingegneria Gestionale al Politecnico di Torino. Ero interessato a tutti gli aspetti di gestione manageriale, ma all'epoca non avevo in mente di fare quello che poi ho fatto. Ho sempre fatto il pendolare, non mi sono mai trasferito da Asti. Al secondo anno di università ho scoperto un’associazione studentesca del Politecnico, JEToP, una realtà di piccole imprese tra studenti che hanno l'obiettivo di sviluppare progetti in autogestione. Ai tempi organizzava il secondo Career Day più grande d’Italia. Era un mondo sconosciuto per me, ma una grande opportunità per entrare nel mondo delle risorse umane e della ricerca di talenti.

Cosa succede dopo?

Succede che scoppia la scintilla, che mi fa pensare a quanto fosse inefficiente il sistema dell'epoca della ricerca di talenti. Così, nei primi anni Duemila ho lanciato un software di gestione aziendale, un gioco di ruolo manageriale, applicato alla selezione del personale. Era un modo per osservare, attraverso un gioco, le varie squadre nelle scelte decisionali, per cinque settimane. Attraverso quel progetto ero riuscito a calare a terra la tecnologia nella selezione del personale e ho visto i primi benefici che si potevano trarre.

Che esperienze decidi di fare a questo punto della storia?

Ho lavorato alle Olimpiadi del 2006, applicando la gestione a un team di 50 persone.
È stata una grande opportuniutà. Sono tornato poi a studiare, frequenando un Master in Business Planning, che mi ha fatto avvicinare all'Incubatore di Imprese di Torino. Nel 2007 vado in Erasmus in Francia, senza sapere il francese (volevo andare o in Svezia o in Finlandia, ma non c’erano abbastanza posti, non avevo una media altissima per cui avevo anche poche opzioni tra cui scegliere). Decido anche di fare come esperienza quella dell'Ambassador della Shell presso il Politecnico di Torino, ovvero mi impegnavo nell’’identificare i talenti al Politecnico per conto della Shell.
Tutte esperienze in cui mi sono buttato e che, involontariamente, mi stavano aprendo mondi, contatti e conoscenze linguistiche. 

Di esperienze in cui buttarsi e di geni maligni alla Descartes

Quando Matteo mi parla di esperienze in cui buttarsi penso che dica proprio una grande verità. Quante volte pensiamo di non essere all'altezza di un compito perché il nostro 'genio maligno' ci fa sentire perennemente inadeguati e fuori luogo? Quando invece basterebbe mettere un piede oltre la nostra zona di comfort, per sentirsi diversi e per avere contezza di un mondo 'altro', in cui, forse, varrebbe la pena darsi la possibilità di stare.

Avevi un piano in mente?

Non stavo seguendo un percorso predefinito, ho solo colto le opportunità che mi sono arrivate, unendo poi i puntini 'ex post', senza premeditazione. Nella mia famiglia sono stato il primo a laurearmi e non c'erano imprenditori. 

Fino ad arrivare al 2008, un anno chiave per il tuo cammino personale e professionale

Nel 2008 arrivo tra i finalisti della Start Up Competition di Piemonte e Valle d'Aosta e l'Incubatore mi fa entrare nella sua struttura. Stavo ancora studiando e nel frattempo do vita alla mia impresa, "Intervieweb", ora "Inrecruiting". Un prodotto digitale in cloud per aiutare le aziende nella selezione del personale, ma anche uno strumento che offrisse la possibilità di videoconferenze per le prime fasi del colloquio di lavoro, per ottimizzare i tempi e ridurre i costi di spostamento.

Ci sono state difficoltà all'inizio?

Tantissime, a cominciare dalla crisi finanziaria. Quando ho deciso di partire con questo progetto era il momento storico peggiore per lanciarsi. In pratica stavo proponendo sul mercato un nuovo strumento digitale per l'assunzione nelle aziende, quando in quel momento le aziende licenziavano personale. Inoltre, la cultura del cloud non era ancora particolarmente sviluppata, così come il concetto di videoconferenza. In più avevo 24 anni, c'era molta diffidenza.

Cosa ti ha insegnato quel periodo buio?

Mi ha abituato a fare i conti su dove mettere soldi, fare attività di saving e ragionare bene sulle scelte di investimento. Una scelta sbagliata e sarei stato fuori dai giochi. E questa filosofia aziendale fa ancora parte di noi. Zero sprechi, badare al concreto, zero attività di visibilità ma stare dietro ai clienti, facendosi dare feedback sul prodotto, per continuare a crescere. Partire senza investimenti ti tempra su una serie di situazioni.

Poi la svolta arriva dopo alcuni anni, nel 2014 giusto?

Esatto, anno in cui la primissima grande azienda, Zambon, che opera nel settore farmaceutico, decide di comprare il nostro prodotto. Dopo di lei, un'altra grande occasione. Manpower Group aveva vinto la gara d'appalto per gestire le risorse umane durante Expo 2015 e cercava un software dedicato. Scelse noi. Quello fu uno stress test di team e tecnologia. Ci ha irrobustiti molto e ci ha dato una grande visibilità, che ha segnato la nostra svolta. Il mercato si è quindi ripreso ed eravamo pronti, per vendere in Italia e all'estero.

Quando arriva l'offerta da parte di Zucchetti?

La più grande software house in Italia, Zucchetti, mostra interesse a comprare la nostra realtà. Non ero interessato a vendere in quel momento, eravamo io e un gruppo di amici, non avevamo investitori terzi, però ho approfondito il loro interesse, scoprendo un'azienda con una cultura fortissima sulle persone, molto attenta. Anche se non ero interessato a vendere in quel momento ci ho visto un'opportunità, che ci permettesse di crescere senza smembrarci. Siamo diventati Zucchetti Spa da quest'anno. All'interno del gruppo abbiamo accelerato la nostra crescita: ora siamo 40 persone in Italia, ho 10 persone che lavorano in Francia e team sparsi in tutto il mondo tra Brasile, Israele e molti altri paesi. A livello mondiale ad oggi siamo più di 60 persone. E tutto è partito da un'idea nata al Politecnico di Torino, ora leader nel mercato italiano e tra i più importanti del settore in Europa.

Ad oggi quanti clienti usano il vostro prodotto?

Oltre 1500 clienti. Il prodotto è disponibile in 11 lingue. Gestiamo circa 30 milioni di candidati per conto dei nostri clienti sulle nostre tecnologie. A latere, nel 2018 avevo lanciato un prodotto basato sull'intelligenza artificiale, creato da un gruppo di Data Scientist composto da fisici, matematici, ingegneri, per identificare i migliori candidati attraverso motori di ricerca semantica: algoritmi di intelligenza artificiale complementari al recruiting. Un progetto dai costi particolarmente elevati, venduto ad aziende multinazionali. Solo nell'ultimo anno e mezzo, anche grazie a ChatGPT, le persone si stanno avvicinando a questo prodotto, stanno iniziando a capirci qualcosa di più.

Possiamo dire che hai due anime: quella tech e quella che subisce il fascino dell'artigianalità?

Diciamo che sono molto legato a entrambe. Nel 2021, infatti, ho aperto Forno Peppino ad Asti. L'idea è nata con l'amico Tommaso De Benedetti. L'abbiamo creata come se fosse una stare up digitale, anche se si tratta di artigianato. Sono socio, è una bakery data driven, un panificio che deve crescere sulla base dei dati raccolti ogni giorno grazie a ogni scontrino.

Come mai la scelta di investire su Asti e su una storica location artigianale?

Mio nonno era panettiere ad Asti, l’altro nonno, napoletano, era cliente di Peppino e Simone Lorenzato, che guida il locale, giocava a calcio con noi. Ci serviva una persona che conoscesse il mestiere concreto. Forno Peppino è un forno con produzione artigianale che ha dietro un progetto di espansione e crescita.

Che rapporto hai con la città?

Ad Asti sto bene, è casa, la sento...comoda. Ho sempre fatto il pendolare per studiare o lavorare, anche perché l'asse Asti-Torino è decisamente comodo. Ho scelto Asti anche per i miei figli, che possono crescere in un contesto dalla giusta dimensione, in cui si riesce a tessere relazioni sociali un po’ con tutti. Avere la famiglia vicino è fondamentale, volevo un contesto semplice, non un posto sovradimensionato in cui, alla fine, cresci in una bolla in base al quartiere in cui scegli di stare. Asti la trovo giusta per me e per la mia famiglia, a misura d’uomo, in mezzo al verde, ha potenzialità immense non sfruttate.

E qui casca sempre l'asino. Perché, secondo te?

Siamo molto chiusi, io ad Asti non ho mai lavorato, ad Asti vivo ma non lavoro, perché potrei lavorare ovunque e sto dietro le quinte. Manca consapevolezza ad esempio di un territorio bellissimo, dei tanti spazi da sfruttare e di una visione chiara di cosa vogliamo essere in futuro. Su cosa vogliamo puntare? Se vuoi diventare eccellenza non puoi eccellere in tutto, devi scegliere su cosa puntare. Ho clienti ovunque che mi chiedono perché io viva in una città come Asti. Non siamo in grado di valorizzarci perché ci manca un elemento caratterizzante. Tutti lavorano per sé, non si fa network: fare sistema è fondamentale. Se investiamo tutti la gente è più consapevole e porterà valore a tutto il tessuto imprenditoriale. Purtroppo Asti lavora individualmente. Qui ti confronti quasi con te stesso, con il tuo vicino. Serve conservare una visione d’insieme che parte dal locale, ma deve pensare al globale.

Vuoi dare un consiglio ai ragazzi giovani che stanno cercando la propria strada, con fatica?

Provate, sbagliate fin tanto che potete. Fate progetti, c’è una fase della vita in cui l’errore pesa molto poco e te lo puoi permettere. L’errore deve essere visto come strumento di crescita: faccio del mio meglio sapendo che se sbaglio ho imparato qualcosa, non bisogna averne il terrore. Serve andare a cercarsi opportunità, avendo il contesto giusto per farlo e buttandosi su qualcosa che ti appassioni. Non c’è stipendio che ti faccia svegliare con il sorriso, ma è la passione per qualcosa che lo farà. È questa la parte difficile, però dipende molto anche da cosa hai attorno. Asti non ti dà grandi stimoli ed esempi. C'è molta paura dell'errore e del giudizio, ma non chiudetevi per paura di sbagliare, l’errore capita. Il fallimento è l’elemento più importante che ci sia. La perfezione non esiste.Fate esperienze, a discapito della perfezione. Tornassi indietro rifarei tutto, ho avuto anche la grande fortuna di avere il supporto della famiglia, altrimenti fai davvero fatica. Nessuno mi ha fatto pesare, con il proprio giudizio, le mie scelte. Ne ho perso di tempo, ma ho fatto esperienze e mi è tornato utile. Non sentitevi in difetto per i voti, per aver preso la laurea con un anno di ritardo. Trovate il vostro contesto.

 

Il videosaluto ai lettori

Elisabetta Testa


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Orgoglio Astigiano è un progetto che vuole portare alla luce storie di vita e di talenti del territorio, che trova il suo spazio nella rubrica settimanale “Storie di Orgoglio Astigiano”, a cura della giornalista Elisabetta Testa.

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