La filosofia e le sue voci - 03 febbraio 2024, 09:00

L'altra specie?

Nuovo appuntamento con le riflessioni di Simone Vaccaro, per la rubrica "La filosofia e le sue voci"

Immagine elaborata da Arena Philosophika

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Tanti corpi mobili, anche di forme diverse, e una sola mente immobile. Questa è l'altra specie

Roberto Cingolani, L'altra specie

Un fatto è chiarissimo: una nuova specie di esseri operanti si deve aggiungere al nostro catalogo degli enti che popolano il mondo. Noi e loro. Noi e gli strumenti robotici che possono essere d'aiuto in una miriade di situazioni. Noi e quelle macchine tecnologicamente avanzatissime, quasi del tutto indipendenti da noi, che possono relazionarsi con noi, che possono prendersi cura di noi… Noi e quell'insieme di ingranaggi, di trasmissioni di informazioni, di circuiti. Noi e l'altra specie. Il professor Cingolani ha coniato l'espressione "altra specie" proprio per sottolineare la portata di queste nuove creature: talmente differenti da noi da essere, se fossero elementi naturali - termine qui da prendere nel senso ingenuo dell'accezione - esponenti di una specie aliena.

Ma in che cosa differiamo, ontologicamente, noi e loro? Secondo l'autore del libro L'altra specie, le differenze sono numerose e tutte fondamentali. Vorrei porre l'attenzione principalmente su due fattori, tra i più dirimenti. Il primo è la struttura: un organismo umano è un sistema biochimico, le cui architetture biologiche operano in parallelo e in simultanea. Reazioni, sintesi, sincronia. Un organismo vivente opera su molteplici piani contemporaneamente, interagendo e integrando processi disparati. L'ente robotico, di contro, è un sistema elettrico, le cui architetture elettroniche operano in serie - è, in poche parole, strutturato nella discontinuità. Ma è con la seconda, necessaria, distinzione che la questione tocca un problema filosofico che affonda le sue radici nella notte dei tempi: l'essere vivente è una intelligenza embodied, ovverosia incorporata. L'antico problema del rapporto mente-corpo trova una risoluzione - decisamente convincente: gli organismi sono unità somato-psichiche, caratterizzate da plasticità, elasticità, variabilità nelle risposte all'ambiente circostante e apprendimento esperienziale. Le intelligenze robotiche, dal canto loro, sono disembodied: applicano gli algoritmi che i loro sviluppatori hanno forgiato. Apprendono per calcoli e la risposta si discosta di poco dal preventivato. Conservano dati su cloud e si collegano a Internet. Il software prevale sull'hardware.

Certo è che con le nuove tecnologie legate all'intelligenza artificiale, lo scoglio di una natura elettrica e dei limiti ad essa connessa sembra svanire quasi del tutto: gli algoritmi ora sono aperti, non racchiusi in programmi di ricerca auto realizzanti, ma orientati all'apprendimento esperienziale, sul modello della controparte biologica (basti pensare agli algoritmi basati sul machine learning). Si può davvero ancora parlare di una distinzione di specie se le differenze ontologiche fondamentali vengono pian piano ad assottigliarsi grazie alle nuove scoperte tecnologiche? Dovremmo ripensare da capo i nostri concetti di umano, di artificiale, di intelligenza? Dovremmo rivedere i limiti che noi stessi abbiamo posto? Come configurare allora la presenza straniante dell'altro?

Simone Vaccaro

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