La filosofia e le sue voci - 09 marzo 2024, 09:00

La duplice natura

Nuovo appuntamento con le riflessioni di Simone Vaccaro, per la rubrica "La filosofia e le sue voci"

Immagine elaborata da Arena Philosophika

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Tanto rinunciare alle ambizioni di tipo morale della filosofia, quanto rinunciare alle sue ambizioni teoretiche non significa solo ucciderla; significa compiere un suicidio intellettuale e spirituale

Hilary Putnam, La filosofia nell'età della scienza

Riprendo nuovamente a discutere dell'ambizione filosofica, cambiandone prospettiva e angolazione. Tradizionalmente - quantomeno a livello didattico - si è soliti separare gli insegnamenti afferenti alla sfera etico-morale da quelli che si prodigano a fornire una visione del mondo il più contemplativa possibile e che fanno, naturalmente, dell'indagine teoretica il vero asse portante del loro impegno filosofico. A tale preliminare e fondamentale dicotomia, poi, se ne possono aggiungere altre che calcano la mano in una direzione ben specifica. Lo studio etico si moltiplica nella massa tumultuosa dei molteplici domini di applicazione: etiche speciali, o etiche al genitivo. In poche parole etiche "di/del/della e così via (etica della comunicazione, etica dell'ambiente…). Da parte sua di contro, lo studio teoretico, interessato più ad una descrizione oggettiva della realtà che alla comprensione del suo senso, si trasforma o nello scimmiottamento di una pretesa validità scientifica o nel rinserramento di una verità che non necessita minimamente di essere comprovata esperienzialmente.

Lacerata tra questi due estremi, la filosofia si trova a dover offrire risposte a domande che la coinvolgono, in verità, solamente marginalmente. Da questo punto di vista, ha ragione il filosofo Luciano Floridi nel diagnosticare alla filosofia attuale l'incapacità di fornire risposte alle domande per il semplice motivo che a essere errate sono proprio… le domande! Con ciò non si vuole intendere che la filosofia non sia più in grado di rispondere (come sembra in effetti emergere dalla lettura di Floridi) né di risponderne - ovvero farsi le domande giuste. Resta però il fatto che le sue risposte siano minoritarie rispetto a quelle offerte dalla conoscenza tecno-scientifica, che si fa forza dell'efficacia e dell'efficienza dei suoi risultati. Per questo motivo una serie di questioni rimangono inscalfibili ai colpi di martello - di gomma? - filosofici: che cosa può dire il filosofo sull'intelligenza artificiale? O sulla costituzione della materia? E sulla natura delle particelle subatomiche? 

In questa sua incapacità di incidere tangibilmente sul reale - lasciando stare da parte le influenze che esercita su chi decide di fare filosofia - con sempre maggior forza i due poli si fanno attrattori. Da una parte si afferma che quando la filosofia si fa etica si è già scavallato al di là del discorso filosofico: la guida delle azioni ha la precedenza su di una sterile comprensione astratta del reale (il mondo è sempre stato interpretato: ora lo si deve modificare; cfr. Karl Marx). Dall'altra si adotta una impostazione che definirei tranquillamente misticheggiante: nella presa di distanza dal mondo vissuto, si cerca un'unità forzata, forzosamente unificata in un Uno-Tutto che può essere colto solo con il salto nella dimensione trascendente. Ma questo è il bello, l'appassionante della sfida della filosofia: la duplice natura che la contraddistingue dà un'impronta unica e unitaria ad un intenso lavorio che non si accontenta di essere catalogato come scientifico o mistico. Per questo sottrarre l'afflato morale o quello teoretico significa privare la filosofia di una delle sue gambe sulle quali si regge, decretandone la definitiva morte cerebrale: viene meno in questo modo proprio il sostare consapevole nell'unità teor-etica (ho qui rielaborato alcune conclusioni presenti nel volume Emilio Carlo Corriero, La filosofia come orientamento), marchio di fabbrica dell'indagine genuinamente filosofica. 

Simone Vaccaro

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