La filosofia e le sue voci - 23 marzo 2024, 09:00

La questione della tecnica

Nuovo appuntamento con le riflessioni di Simone Vaccaro, per la rubrica "La filosofia e le sue voci"

Immagine elaborata da Arena Philosophika

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Ciò che ricostruisce una filosofia della tecnica [...] non è solamente come organizzare concetti e idee (di cui l'importanza sociale e politica è ovvia), ma è come guardare con precisione il reale, pensare la sua esistenza e la sua evoluzione

Jean-Yves Chateau, La technique de Platon à Simondon, traduzione mia 

La rilevanza della tecnica nella nostra quotidianità rende sempre più impellente una riflessione generale sulla tecnica stessa. Viviamo in un mondo che ha preso forma proprio dalla nostra capacità di rielaborazione, di comprensione dei suoi meccanismi intimi, celati tra le pieghe di un principio di inviolabilità ormai surclassato. Tra noi - animali umani - e il mondo vige un rapporto di co-implicazione: noi siamo parte del mondo in quanto animali, ma in quanto umani abbiamo la facoltà di creare mondi nel mondo, anzi, di assegnare una direzione al mondo, di trarlo fuori dalla sua stringente legalità (la legge di natura per intenderci) per assegnargli fini non presenti nella sua costituzione originaria. Per mezzo dello sviluppo applicativo delle scienze, la realtà non è più la destinazione dei nostri impegni conoscitivi - descrizione, asettica, del reale - ma la materia che necessita di essere completata e perfezionata da quell'ente in grado di indirizzarla. Il connubio indissolubile scienza-tecnica si presenta allora come garante di questa sponda ricostruttiva

Ma la tecnica è veramente (e solamente) questo? Può essere intesa come la sfera applicativa di un dominio scientifico? Il filosofo Jean-Yves Chateau, da cui prendo spunto quest'oggi, è di tutt'altro avviso. E questo perché è necessario ripensare l'essenza della tecnica alla luce proprio del suo apparentamento con la scienza: possiamo ridurre la tecnica, e il pensiero tecnico, alla messa in opera di una scienza che detiene il primato in una fantomatica gerarchia tra i saperi? Non corriamo così il rischio di appiattire quella differenza fondamentale che è il vero sprone a cogliere le trame essenziali della tecnica? Detto in poche parole: che cosa è tecnica? A domanda apparentemente semplice, financo banale, non può corrispondere una risposta complessa. Perché la "tecnica", anche dal punto di vista semantico, non è il classico monolite compatto. La tecnica presenta molti sensi, dal saper utilizzare differenti strumenti (pensate alle svariate tecniche di preparazione dei cibi) alla creazione di oggetti che sopperiscano a nostre innate deficienze (la macchina, per esempio, integra, amplifica e potenzia la nostra innata capacità di locomozione, come segnalato da Arnold Gehlen), passando per le capacità che non necessitano di utensili né di strumenti (basti por mente alle capacità dialettiche). Eppure si tratta sempre di tecnica. 

Appurata dunque l'incompletezza dell'ipotesi applicativa scienza-tecnica, perché riduttiva in quanto vera in un specifico campo di interesse, resta da porsi la domanda fatidica: che cosa rende le varie tecniche sopra menzionate esponenti della tecnica? Le risposte a questa domanda sono le più differenti, e la storia del pensiero filosofico ci mostra come la filosofia abbia affrontata la faccenda fin dai suoi primi vagiti. Di per sé la questione della tecnica è ancora aperta e la citazione che ho riportata non ne fornisce una adeguata definizione. Offre qualcosa di molto diverso, e di più interessante: un atteggiamento. L'atteggiamento del ricercatore che si industria sul dilemma tecnico. Se vogliamo elaborarne una definizione allora non possiamo fare a meno di introdurre il quadro di riferimento in un orizzonte più inclusivo che, comprendendola al suo interno, ne possa permettere piena conoscibilità. Parlare della tecnica è parlare della realtà e interrogare la realtà è interrogare il fare tecnico: questa è la portata di tale indagine filosofica, ovverosia un orizzonte ontologico
 

Simone Vaccaro

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