La filosofia e le sue voci - 04 maggio 2024, 09:00

Alla ricerca dell'uno perduto

Nuovo appuntamento con le riflessioni di Simone Vaccaro, per la rubrica "La filosofia e le sue voci"

Immagine elaborata da Arena Philosophika

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Le relazioni, in generale, non unificano

Graham Priest, One (traduzione mia)

Uno e molti. È questa la vexata quaestio affrontata direttamente dal filosofo britannico Priest in questo coraggioso scritto dal titolo quanto mai esemplificativo. Uno e molti è il problema per eccellenza della riflessione metafisica che caratterizza il pensiero filosofico fin dalla sua nascita. Se vogliamo condensarlo in una sola formula, possiamo avanzare un piccolo gioco di parole, in forma di domanda: l'uno è molti? Il problema-uno-e-molti è la questione di fondo se l'uno sia i molti, ovverosia, se l'uno sia sempre uno pur essendo i molti e se i molti siano pur sempre molti e differenti reciprocamente senza essere altro dall'uno. Se detto così può risultare astruso - e una forte componente di astrusità non può che connotare domande ai vertici della teoresi -, possiamo riportare il discorso alle prime formulazioni teologiche: esiste un solo Dio che ha dato il via al mondo, oppure esso è la creazione di una pluralità di divinità che hanno cooperato per dar vita al cosmo? 

È ovviamente manifesto che sul terreno squisitamente filosofico il riferimento ad un Dio personale - il Dio di Abramo di Isacco e di Giacobbe per intenderci - è traslato in direzione del dio dei filosofi, un dio non personale, concettuale, da identificarsi con l'Essere stesso. Però fare riferimento alla contrapposizione monoteismo / politeismo rende bene l'idea della profondità della questione. Consapevole della portata, Graham Priest elabora una originale teoria: il suo punto di partenza è che il problema uno-molti è stato sostanzialmente mal posto. O meglio, il modo con il quale si è tentato di risolvere questa dicotomia è stato sostanzialmente fallimentare perché si è data troppa importanza al Principio di Non Contraddizione, che afferma che se A=A non può essere al contempo A = ~A (se A è uguale a A non può essere al contempo uguale a NonA). Sembra ovvio. In fondo non è che questi filosofoni abbiamo poi scoperto chissà che! 

Ma il problema deflagra quando non siamo a parlare di cose semplici, discrete (che in gergo filosofico vuol dire grosso modo elementi separati: A, B, C e così via) e differenti l'una dall'altra, ma del principio delle cose stesse. A questo livello di analisi, la questione si fa terribilmente seria! Vogliamo ammettere che le cose non abbiano un fondamento comune, ma siano disperse nella moltitudine dei loro stessi principi? L'uno verrebbe cancellato per lasciar spazio al molteplice. Optiamo per una unità fontale da cui scaturiscono i molti, che comunque sono sempre uno perché riconducibili alla sua sorgente? Così i molti verrebbero riassorbiti nell'uno, con buona pace della molteplicità. Come si può vedere, non si scherza. Ne va della trama stessa della realtà. La proposta di Priest, invece, tende a conciliare gli opposti: bisogna abbandonare il Principio di Non Contraddizione perché ci conduce nel vicolo cieco della dicotomia "o uno o molti". In realtà, questa contrapposizione è artificiosa: quando si ha a che fare con il principio primo, dobbiamo tenere a mente che vi è una sovrapposizione di base. L'uno e i molti, in questa prospettiva, si sovrappongono reciprocamente perché non esclusivi, ma strettamente interrelati. È la relazione che fa sì che l'uno si sovrapponga ai molti e viceversa. Per questo le relazioni, pur essendo un marcatore di unità, non conducono all'unificazione definitiva, perché aprono lo spazio al sovrapporsi di realtà un tempo considerate conflittuali

Simone Vaccaro

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