Per accompagnarti nella lettura di questa intervista ti consiglio la canzone Secrets, degli OneRepublic, contenuta nella playlist "Orgoglio Astigiano" su Spotify
Andare a trovare Cristina Ferro a Cocconato significa conoscere una vera e propria comunità educante. Vuol dire immergersi in una realtà-altra, che però sa comunque di casa.
35 anni, educatrice, pedagogista e analista del comportamento (Bcba), è la direttrice di Coccovillage. Cos'è? Ufficialmente è un centro dedicato all’educazione e al sostegno di bambini, ragazzi e adulti con autismo, disabilità intellettiva e bisogni educativi speciali. Ufficiosamente è un sogno diventato realtà.
Come, quando e perché è nato il progetto Coccovillage?
Nasce di fatto nel settembre 2017, da subito a Cocconato, da cui ha preso il nome. Il mio sogno è sempre stato quello di creare un luogo, una sorta di villaggio, che fosse a misura di bambino o adulto con disabilità intellettiva. Nello specifico mi sono interessata alla questione dell'autismo. Sono un'educatrice che ha sempre lavorato a contatto con persone autistiche. E volevo continuare in una maniera più strutturata.
Mi parli di 'villaggio'. Perché?
Perché vedevo mancare un aggancio sul territorio. Avevo in testa l’idea di una comunità educante, che però dal mio punto di vista era assente. È difficile da fare in una città grande, per esempio, dove è anche molto complesso fare formazione indiretta e attività di sensibilizzazione.
Da qui l'idea di restare a Cocconato?
Sì, esatto. C'è poi da dire che io sono originaria di Cocconato, ho sempre vissuto qui. Sono andata via dal paese solo per studiare a Torino e per formarmi in analisi comportamentale a L'Aquila. Ad ogni modo, presa la decisione di restare a Cocconato per dare vita a questo progetto, ho iniziato a 'formare' i cittadini giorno dopo giorno, spiegando loro, a parole e non solo, perché fosse importante per una comunità avere qualcuno che si occupasse dell'accoglienza di bimbi e famiglie con esigenze speciali. E, in meno di due anni, Cocconato si è mostrato pronto per ospitare tutto questo.
Dietro a un sogno così grande c'è una fonte di ispirazione altrettanto grande?
Sì, un sogno a tutti gli effetti. Fin dagli studi, ho sempre guardato con orgoglio e ammirazione ciò che don Milani aveva costruito con la scuola di Barbiana. I tempi, per fortuna, sono cambiati, ma l’esigenza di accogliere tutti, senza distinzioni o etichette, la sentivo ancora molto viva.
Concretamente, che ambiente desideravi diventasse il Coccovillage del futuro?
Volevo un villaggio accogliente, con ambienti strutturati e ambienti naturali: una casa, in primis, in cui si apprende con semplicità immersi nella natura e nel quotidiano, ma che fornisse anche le basi da cui partire per uscire. Quindi, oltre che casa, anche palestra di vita. E Cocconato era ed è il posto perfetto: è un paese piccolo, ma ha tutto. E quindi, una volta riordinate le idee, ho iniziato questo percorso.
Com'era il primissimo Coccovillage e com'è oggi?
Era una micro stanza in centro paese: ero da sola, non potevo fare più di tanto. Sono partita accogliendo tre bambini. Poi giorno dopo giorno la richiesta è aumentata. Ad oggi seguiamo 80 famiglie. In questi anni ci sono stati vari traslochi di mezzo e, in più, l'apertura di una seconda sede a Saluzzo, città in cui abbiamo una piccola sede, al momento. Stiamo però valutando di ampliarci anche lì.
L'ospite più grande? E il più piccolo?
Andiamo dai 18 mesi fino all'età adulta. Il più grande, oggi, ha la mia età: 35 anni. Ad oggi abbiamo 12 operatori. Una rosa per noi fondamentale, perché crediamo sia fondamentale far conoscere tutti i bimbi e i ragazzi a tutti i nostri operatori. Questo garantisce di generalizzare gli apprendimenti e le persone si abituano a questa dinamica di apertura. Che è poi la stessa che troveranno fuori, una volta immersi nella vita quotidiana. E poi, siamo un’azienda tutta al femminile, che fa i conti con questo aspetto. Siamo partite insieme e cresciute insieme. Qui ognuno fa il suo. I dipendenti sono due, gli altri sono collaboratori.
"Questo sogno è troppo grande per realizzarlo da soli"
Come e quando avviene l'incontro con la famiglia Massa?
Avviene dopo un paio d'anni dall'apertura dell'attività. Conoscevo già la famiglia Massa, ma un giorno incontro Franco, padre di Stefania e Barbara, nonché fondatore della Conbipel di Cocconato. Bene, Franco aveva il mio stesso sogno, ma né io né lui lo sapevamo! Il nipote di Franco è all'interno dello spettro autistico, per cui anche Franco, da nonno, aveva il desiderio di potenziare le autonomie di vita del nipote e di tanti bimbi e ragazzi come lui. Dal nostro incontro era quindi emersa la frase cardine del nostro prossimo futuro: "Evidentemente questo sogno è troppo grande per realizzarlo da soli". Ci siamo quindi messi insieme nella costruzione di una nuova realtà: Barbara, in qualità di architetto, ma soprattutto di mamma, mi ha aiutata a mettere insieme le idee; abbiamo iniziato a costruire una stanza alla volta su carta. Nel mentre abbiamo affrontato la pandemia, che ci ha rallentati tantissimo. Siamo partiti dalla casa didattica, per insegnare le varie autonomie. E poi il centro educativo, dedicato ai piccoli (per i primi tre anni di vita). Attorno, abbiamo poi costruito le aule. E poi uno spazio per la formazione, per divulgare le strategie di insegnamento efficace. E, tra qualche mese, metteremo anche una piscina all'esterno, che rimarrà stabile. Non tanto in ottica di divertimento, ma perché ci permette di lavorare sulle autonomie. Sai, dopo la piscina serve imparare a farsi la doccia, a cambiarsi.
La reazione di Cocconato?
Una partecipazione grandissima, anche di persone che, volontariamente, si mettono a nostra disposizione per darci una mano. Iniziamo ad accogliere anche bambini senza disabilità. E noi apriamo loro le porte con grande piacere, perché qui si fa inclusione. Senza distinzioni. Quest’anno abbiamo un corso di musical con i nostri bambini, ma è aperto a tutti. È un po' un'inclusione al contrario: facendo entrare qui tutti i bimbi che lo desiderano abbattiamo gli stereotipi. I ragazzi che accogliamo dall'esterno non hanno paura della diversità (meglio sarebbe dire dell'unicità), gli adulti sì. Sono i bimbi, però, che portano fuori i messaggi. Alle loro famiglie, al mondo. E con loro dobbiamo continuare a lavorare, per un mondo migliore.
Ci sono altre iniziative che portate avanti?
Sì, ad esempio d'estate organizziamo soggiorni al mare, o la settimana in camper e l'uscita in discoteca, per dare sostegno alle famiglie, ma anche regalare esperienze uniche, insegnando nella quotidianità. Voglio che i nostri ragazzi siano attratti e non spaventati: vogliamo far capire loro che c'è un altro mondo, che non significa chiusura, ma, anzi, grande apertura alle normali attività che un giovane fa di solito. E che si possono fare!
Un caso che più ti ha colpita?
In realtà sono tantissimi. Ti direi il caso di tre bimbi autistici, ora cresciuti, che sono stati la spinta a costruire tutto questo. Li avevo conosciuti come educatrice: avevano bisogno di supporto e, con la loro storia, mi hanno portata a conoscere realtà per me fondamentali. Mi hanno messa in contatto con professionisti, mi hanno guidato nella formazione giusta. Alle loro famiglie devo tantissimo. C’è poi la storia di una famiglia cuneese, che per due anni ha portato la figlia da noi e che ha fortemente voluto l’apertura della struttura su Saluzzo. Io inizialmente ero resistente per via delle distanze, ma sono stata aiutata molto. Abbiamo aperto a Saluzzo per questa famiglia: poi, ad oggi, è un servizio per altri di cui sono contenta.
Immagino che a livello emotivo questo più che un lavoro sia un maestro di vita per te...
Accogliamo tanta tristezza, solitudine e disinformazione. Quando, però, vedi le famiglie che ricominciano a vivere nella 'normalità' è bellissimo. Ti riempie il cuore poter dare gli strumenti che permettano ai genitori di uscire di nuovo con i propri figli. Spesso le famiglie si spaccano davanti a una diagnosi. Non è semplice: lo scopri vivendo che forma di autismo ti è toccata, in cosa consiste davvero e cosa puoi concretamente fare. L’incerto fa paura.
Tutto bellissimo, ma c'è un neo. Voi siete privati e offrite un servizio che dovrebbe essere un diritto e non un lusso
Già, Coccovillage è una realtà privata. E no, non è giusto. La mia ultima lotta sta riguardando proprio questo: vorrei fare in modo che la famiglia che si affida a noi non debba sostenere le spese del trattamento. Stiamo affrontando la questione confrontandoci con le Asl, i servizi sociali e i Comuni di diversi territori (Cocconato è crocevia tra Torino, Asti e Alessandria). Abbiamo smosso le acque e mi piacerebbe smuoverle su altri fronti, ma serve tempo. Ci sono associazioni che sostengono le famiglie per cercare fondi per sostenersi. I Lions di Castelnuovo don Bosco stanno anche raccogliendo dei fondi per comprarci un pulmino, perché alcuni ragazzi li prendiamo noi e sul territorio ci dobbiamo muovere. L’idea è arrivare a una convenzione del progetto. Il terzo settore è bello, ma complicato e ahimè il futuro della sanità è tristemente sempre più nel privato. Per combattere questa deriva, è fondamentale mantenere vivo il rapporto con enti e istituzioni: avere un filo diretto con loro è importantissimo.
Un consiglio ai ragazzi?
Non devono aver paura di dire ciò che pensano, ma la cosa più importante è costruire delle relazioni sane. L'amicizia vera è la base per poter stare nella comunità in sicurezza. Ragazzi, non smettete di farvi domande, abbiate senso critico, chiedete quando non capite e condividete. Cresciamo generazioni con tante domande da fare e gli adulti, adesso, sono chiamati a dare risposte. Studiate con senso critico per non credere a tutto un domani. Stiamo crescendo degli adolescenti che fanno domande che mettono in difficoltà i genitori, specialmente sui temi dell'affettività e della sessualità, ancora tabù. Si tende a chiudere il discorso: abbiamo ragazzi depressi di cui non sappiamo accogliere il malessere. Abbattiamo le barriere e parliamone! Parliamo di sentimenti, ma quelli veri! Mettiamoci in gioco con le nostre emozioni, anche se ci fanno paura! Non teniamoci le domande dentro! A Coccovillage abbiamo sempre cercato di lanciare messaggi, a partire dai bagni: i nostri non hanno genere. Sono piccolezze, sì, ma i ragazzi allora ci fanno domande e ci forniscono così la possibilità di affrontare certe tematiche.
Un pretesto non pretestuoso per valorizzare il reale e potenziarlo
Cristina ci ricorda quanto sia importante far caso al pretesto, quando questo viene effettivamente valorizzato. Il pretesto non pretestuoso ci permette di mettere a fuoco nuovi aspetti del reale, potenziandolo. Una passeggiata nel bosco può essere il pretesto per fare luce su di sé, magari in una giornata troppo buia per la nostra soglia di tolleranza. Un viaggio dall'altra parte del mondo può essere il pretesto per iniziare a farsi quelle giuste domande scomode che poi ti sconquassano l'esistenza, ma da cui sicuramente uscirai migliore. Così come dei piccoli gesti possono essere quei pretesti non pretestuosi per educare al pensiero critico. Alla cultura dei dubbi.
Cristina, se non avessi fatto l'educatrice, che strada avresti seguito?
Volevo fare Medicina, ma alla Maturità ho incontrato una professoressa di Pedagogia (esterna) che, dopo aver letto il mio elaborato, mi aveva detto che le idee messe su quei fogli bisognava provare a realizzarle: non potevano stare solo su carta. E così sono andata a sentire cosa proponesse il corso di Scienze dell’educazione ed eccomi qui. Ogni tanto mi chiedo come sarebbe andato il test d’ingresso a Medicina. Volevo fare il medico di base, in realtà, per essere sul territorio. Oggi faccio fatica a pensarmi da un’altra parte.
Chi è Cristina Ferro
La dott.ssa Cristina Ferro (per tutti i bimbi e non solo: Tata Cri) si occupa della progettazione e programmazione personalizzata degli interventi educativi dei bambini e dei ragazzi frequentanti il Coccovillage.
La sua esperienza pluriennale con la disabilità e la formazione in Applied Behaviour Analysis (ABA) e tecniche evidence-based fanno di lei un pilastro del centro di apprendimento e ricerca, Coccovillage, di cui è la direttrice e il supervisore educativo. È un’educatrice professionale, una pedagogista, un’analista del comportamento (BCBA, ADC), parent trainer educativa e un tutor DSA. La voglia di formarsi non l’è mai venuta meno e attualmente è iscritta al corso di laurea magistrale in Psicologia.