Sarà una facile profezia pensare che presto, in questa città, una via porterà il suo nome”. Le parole di don Paolo Luongo, nell’omelia pronunciata oggi nella parrocchia Nostra Signora di Lourdes, hanno colpito il cuore di chi era presente ai funerali di Maria De Benedetti, figura tra le più significative della cultura e della memoria astigiana, scomparsa all’età di 95 anni.
Molte le persone al funerale, In prima fila, il sindaco Maurizio Rasero, con accanto il gonfalone della città listato a lutto, e due dei suoi predecessori: Alberto Bianchino, che volle Maria in giunta nel 1994, e Gian Piero Vigna, con cui collaborò in diversi progetti sociali e culturali. C’erano colleghi, amici, allievi, cittadini comuni. C’era Asti, intera, riunita per salutare una donna che ha fatto della sua vita un ponte tra la memoria e il futuro, tra la spiritualità e l’impegno concreto.
L'eredità di una testimone
Nata il 30 luglio 1929, Maria De Benedetti è stata una delle ultime testimoni dirette della comunità ebraica astigiana. Sorella del teologo Paolo De Benedetti, con cui ha condiviso un profondo cammino di riflessione, studio e apertura interreligiosa, ha saputo tradurre la sua eredità familiare in un impegno vivo nella città. Laureata in Filosofia, specializzata in Psicologia, ha lavorato per anni nei servizi sociali a Milano, arrivando a ricoprire incarichi dirigenziali. Ma non ha mai smesso di guardare alla sua Asti, dove ha fondato insieme al fratello il Cepros, centro di studi psicopedagogici e di formazione che ha lasciato un segno nella coscienza cittadina.
Nel 1994, con l’elezione a sindaco di Bianchino, entrò in giunta come vicesindaco e assessore ai servizi sociali, all’istruzione, alle politiche giovanili e allo sport. Erano gli anni difficili dell’alluvione del Tanaro. “Fu una lezione di vita autentica”, ricordava spesso, sottolineando come quei giorni drammatici misero in luce una comunità capace di aiutarsi e reagire. Anche da quell’esperienza, Maria seppe trarre forza per pensare a una città più equa, più solidale.
Una fede che illumina
Don Paolo, nella sua omelia intensa e a tratti poetica, ha parlato di Maria come di una luce, “una persona che ha saputo manifestare nella sua vita la forza luminosa del Vangelo”. Ha citato l’episodio biblico della donna europea che accolse per prima l’annuncio cristiano: “Dio ha scelto una donna, non dieci uomini, per iniziare il cammino della fede in Europa. E quella donna si aprì, perché Dio le aprì il cuore. Anche Maria era così. Una donna dal cuore aperto”.
Don Paolo ha citato anche un antico racconto cristiano, quello del passero che attraversa una sala illuminata: “La vita può sembrare un volo rapido, un bagliore che attraversa una stanza buia. Ma se c'è qualcuno che ci dice cosa c'è prima e cosa c'è dopo, allora quel volo acquista senso. Maria – ha concluso – è stata una di quelle persone che con la sua luce ci ha aiutati a intravedere il disegno più grande”.
Il sacerdote ha parlato della fede come risposta al mistero della morte, non come consolazione retorica, ma come senso pieno della vita: “Cristo ha sconfitto la morte, e se questa è una vera notizia, allora le vite luminose come quella di Maria non sono un lucignolo in mezzo al buio, ma un’indicazione, un passaggio verso la luce”.
Il suo esempio resta, forte e silenzioso, come quelle persone che non cercano i riflettori ma finiscono per diventare punto di riferimento. “Senza la carità – ha ricordato il parroco – la fede è morta”. E Maria, nella sua lunga vita, ha fatto della carità una testimonianza concreta.
Don Paolo ha concluso con parole che suonano come un impegno collettivo: “Maria ci ha insegnato che la carità rende viva la fede. E forse è per questo che oggi non celebriamo solo un funerale, ma riconosciamo una testimonianza. E se è vero che le mie vie non sono le vostre vie, dice il Signore, allora forse è vero anche che una delle vie della nostra città si chiamerà Maria De Benedetti”.