Per accompagnarti nella lettura di questa intervista ti consiglio la canzone La filanda, di Milva, contenuta nella playlist "Orgoglio Astigiano" su Spotify
60 anni di palcoscenico e una storia bellissima, partita dall'Astigiano con la voglia di superare ogni confine geografico.
Renzo Arato ha una voce caldissima e al telefono mi ammalia. Mi siedo al tavolo della cucina di casa mia. Davanti a me un foglio bianco di Word. Che di lì a poco sarà colmo di parole che sanno di vita.
Come sei legato all'Astigiano e che sensazioni ti dà questo territorio?
Con Asti ho un rapporto bellissimo. Abito in una terra meravigliosa, in mezzo ai boschi e alle vigne di Roatto, grazie al cielo per ora risparmiate da grattacieli e condomini. Ad Asti ho fatto tante cose, tra cui diversi festival di Asti Teatro. Il pubblico astigiano mi vuole bene e la storia continua. Sono innamorato anche della Maremma toscana, in realtà, ma le radici sono queste e Asti è il posto migliore. Asti è natura: quando apro la finestra al mattino ho davanti un bosco di acacie meraviglioso, un profumo pazzesco che entra in casa. Pensa che nel mio prato è cresciuta una enorme quercia, da una ghianda che ha portato uno scoiattolo 25 anni fa. E le gazze ci fanno il nido. Resto meravigliato da Asti e dalle sue meraviglie. Sono incantato. Dico sempre che quando sarà ora di andarmene da qui sarà la cosa che più mi dispiacerà lasciare.
Asti è bella, ma secondo te balla anche?
Le potenzialità ci sono, ma per qualche strano motivo noi astigiani siamo sempre fanalino di coda di altri. Chessò, degli albesi, dei comaschi, dei toscani. Questo forse è un aspetto legato anche al nostro carattere. Nel primo dopoguerra con le persone giuste i toscani hanno creato icone, turistiche ed enogastronomiche. Credo che dopo la guerra ci sia mancato il coraggio di buttare il cuore oltre l'ostacolo: gli altri sono andati avanti e noi siamo rimasti lì a coltivare il nostro orticello. Mi arrabbio a vedere certe cose. Non riusciamo a decollare. Adesso forse è un po' tardi, anche se non lo è mai davvero. Intendo dire che partire adesso sarebbe più difficile. Andava fatto prima. Noi astigiani è come se non riuscissimo a gareggiare, a essere della partita.
Come è nata la passione per la recitazione?
È successo dai salesiani del Colle Don Bosco, alle medie. Hanno letto questa cosa dentro di me. Sono andato all'asilo che sapevo un po' leggere, perché mi aveva insegnato mamma. La suora, allora, mi faceva leggere per intrattenere gli altri bambini. E io improvvisavo. Mi piaceva tantissimo avere quel pubblico davanti! Forse era tutto in nuce, poi i salesiani mi hanno messo sul palco e lì è iniziato tutto. E dal palco non ho più voluto scendere. Quella era la mia vita.
Il primo appuntamento con la recitazione?
Un prof di italiano, un prete, mi aveva messo in mano Il Tartuffo di Molière, uno dei testi più anticlericali che ci fossero, ma mi piaceva la forma e mi sono appassionato. Mi sentivo una star. Il mio primo lavoro è stato Christmas Carol di Dickens, un ruolo bellissimo per un bambino, ma per nulla facile. Insomma, è stata tutta colpa dei salesiani!
E i tuoi genitori? Come avevano reagito alla comparsa del tuo talento artistico?
Non è stato semplice. I miei hanno voluto il diploma (di grafico) prima di qualsiasi cosa. Quando avevo detto loro di voler fare l'attore era successo il finimondo! E poi, da quel momento, ho subìto tanti stop. Quando è mancato papà ho lasciato il palco e mi sono rimboccato le maniche, per portare i soldi a casa e mantenere la famiglia, perché ero il figlio più grande.
Come ti sei sentito quando hai dovuto smettere di sognare?
Ho pensato che non ce l'avrei mai fatta e ho dovuto mettere i sogni nel cassetto. Poi, però, la vita mi ha messo nella strada giusta.
Chi hai incontrato nel momento più buio?
Milva. È lei che mi ha preso e mi ha tirato fuori dal mio buio. Giorgio Strehler cercava un attore, non di nome, che facesse il sostituto. Uno zero, insomma, che però sapesse recitare al posto di Tino Carraro. Milva mi disse: “Non ti raccomando, ma vai a farti vedere, provaci. Esci di casa”. E io, senza nessuna aspettativa, mi sono preparato, portando "La guerra dei ragazzi" di Brecht al provino.
Immagino non sia stato il solito "le faremo sapere"
Esatto. Mi dissero sì. Feci otto serate e poi Carraro riprese il suo posto. E da quel momento sono tornato al mio paese, alla mia normalità. Il rapporto con Milva, però, non si è mai chiuso, fino alla sua morte. Strehler mi aveva aperto gli occhi. E dopo quel momento ho cercato di dosarmi, di trovare un nuovo equilibrio: ho poi partecipato al Festival degli sconosciuti di Ariccia, da cui nacque Rita Pavone, per intenderci. E da lì una catena.
"Hai talento. Non buttarti via". Sul divano di Milva alle 3 del mattino
E il primo anello di questa catena?
È stato a Leinì, a casa di Milva. Erano le 3 del mattino. Ero in crisi. Milva mi fa entrare a casa sua e parliamo fino all'alba. Mi disse: "tu hai talento e devi smettere di affogare la tua paura nel bere. Non buttarti via". A quei tempi la droga era lontana, ma spesso si cadeva nella trappola dell'alcol. Le sue parole furono una fucilata. La fucilata da cui partì tutto.
Le parole-fucile
Ascoltando il racconto di Renzo rifletto su quanto siano importanti, a volte, le parole-fucile. Quelle che spesso ci rivolgono persone a noi care, per metterci in guardia da situazioni limite, comportamenti scorretti, stili di vita malsani, rapporti tossici con noi stessi e/o con gli altri. Al di là della retorica linguistica pacifista, la fucilata di cui mi parla Renzo, di cui si è sentito vittima (ma nel contempo anche beneficiario) dopo le parole dell'amica Milva, risulta come provvidenziale. Se solo la persona nel mirino ne sa cogliere il valore vero, sincero e fraterno. Tutto questo va oltre lo stigma del "è per il tuo bene". Quelle parole ci colpiscono, come farebbe un'arma e anche di più, ma, se vengono pronunciate con affetto da una persona che stimiamo, nulla potrà mai più essere come prima.
Altri incontri che ti hanno dato tanto emotivamente?
Devo dire che nel mondo dello spettacolo ho incontrato più persone per bene che persone 'per male', ma ho avuto anche tanti bastoni tra le ruote. Il grande Giorgio Albertazzi un giorno mi disse che in Italia c'erano due grandi lettori di poesie: eravamo lui ed io. E poi Pippo Baudo. E poi Strehler, che è stato un papà per me.
Nel mondo dello spettacolo, come ci si salva dal rischio isolamento?
Nell'ambiente penso di essere stato visto un po' come quello snob, quello che fa solo teatro impegnato. Qualcuno ha tentato di isolarmi un po' e questo, ahimé, è un rischio del mestiere. Ho voluto immergermi in tante altre cose. Ho cercato di differenziare il mio percorso artistico: ho fatto anche teatro dialettale nei nostri paesi ed è stata una scuola importantissima. Non mi sono chiuso, ecco. E credo di essermi salvato abbastanza bene.
Nel tuo palmares anche tante esperienze all'estero...
Sì, uno spettacolo di balletto con prosa a Montecarlo da cui mi vide un gruppo di tedeschi. E da lì sono finito a fare i primi spettacoli in Germania. Dopo il primo incontrai un grande impresario che mi chiese di lavorare insieme. Aveva nella testa di voler accontentare i tedeschi innamorati del nostro Belpaese, di Dante e della nostra Italia letteraria. Ci credeva molto, nonostante il mio scetticismo iniziale. È stato magico, non ho perso contatti con l'Italia, ma in Germania sono stato amato e sono andato avanti. Ho recitato Dante in italiano, davanti al pubblico straniero. E poi, ho fatto una piccola esperienza in un telefilm americano, "Los Angeles Mystery's", con John Travolta e Al Pacino. Una bellissima avventura, ma il ritmo era infernale: gli americani ti usano come una pedina. Da giovane ho partecipato anche a "Settevoci", quiz di canzoni lanciato da Pippo Baudo. Facevo il concorrente e ricordo di essere stato abbinato a Dori Ghezzi, di cui ero poi diventato amico. Ecco, bisognava differenziare e ho cercato di farlo per non chiudermi dentro il bozzolo del piccolo teatro, che ha tenuto in trappola molti attori. I miei rapporti con il cinema sono più piccoli: ho fatto tre film con Pupi Avati e qualche fiction in Germania. Ho sempre lavorato con degli artisti grandissimi: è stato forse il destino a mettermeli davanti. E questo mi onora.
Un consiglio ai giovani?
Buttatevi e lavorate per voi stessi, senza badare a legami o condizionamenti della famiglia (che ci sono sempre). Abbiate coraggio e non scoraggiatevi. Le porte in faccia ci sono e ne ho prese tante anche io, ma non dovete aspettare che vi arrivi l'occasione a casa. Siate preparati, semplici, umili. E studiate. Non è facile, ai miei tempi era molto più semplice; eravamo molti di meno. Detesto i talent di oggi, che sparano sul mercato ragazzi con un talento straordinario, ma a cui non viene dato il tempo di farsi conoscere. Non c'è assorbimento, non ci sono posti di lavoro. Bisognerebbe fare talent periodici ogni quattro anni, non ogni anno!
E se non avessi fatto questo mestiere?
Probabilmente avrei continuato a fare il grafico, anche se non mi piaceva. Non era abbastanza creativo per un tipo come me.
L'esperienza più bella che ti porti nel cuore?
Oltre all'incontro con Milva, per cui il buon Dio ci avrà messo la mano, quando ho recitato al Regina Coeli. Davanti avevo una platea rumorosa: sono partito parlando di calcio, buttando all'aria tutte le dritte che mi avevano dato. E dopo è arrivata la Cavalla Storna di Pascoli e li ho inchiodati sulla sedia per un'ora e mezza. O quando ho recitato nella Basilica di Assisi, o quando ho interpretato Padre Massimiliano Kolbe. Immedesirmarmi in lui è stato fortissimo.
Senti, me lo racconti un altro aneddoto con Milva?
Dopo il teatro stavamo ore a parlare, davanti a una bottiglia di Barbera! Era stata sposata in Piemonte, era molto legata ai nostri vini, andavamo d'accordo anche su quello. In quei momenti lì venne fuori "La filanda".
Renzo, scusami. Mi sono dimenticata di chiederti... Quanti anni hai?
Sono un coscritto di Loretta Goggi, altra grande amica. Poi faccia lei, (ride, ndr). La banda era quella lì!
Chi è Renzo Arato
Ha frequentato il Centro Sperimentale di Arte Drammatica di Torino e stages presso il Piccolo Teatro di Milano. Ha lavorato in allestimenti teatrali diretti da Giorgio Strehler (Brecht), e Carlos Saura (Garcia Lorca). Propone Recitals di poesia internazionale e di testi di Vittorio Alfieri e Dante Alighieri. Significativi i successi teatrali con gli spettacoli:
- “La guerra non finisce mai”
- “La luna nel pozzo”
- “Al di là delle gialle colline c’è il mare”
(tratto da Cesare Pavese e rappresentato con successo anche al Teatro Odéon di Parigi) - “L’amore, per sempre” e “Nel tuo sangue” di Giovanni Testori;
- “Il Vangelo di Marco”
- “Diversi amori”;
- "Creola dalla bruna aureola"- omaggio a Milly
- "La vita per un ideale" (Massimiliano Kolbe)
- “Il Cantico dell'ultimo volo"
- "I Poeti della nostra Storia" - 150° Unità d'Italia - con Orchestra Scarlatti di Napoli
- "Un'Avemaria e un pezzo di pane" - Bicentenario Nascita di Don Bosco
- "Mio bell'Alpino" - Centenario Grande Guerra '15/'18
- "Come perduto nel fondo del mare" - poesie di P.P. Pasolini
- "Le colline sopra il mare" - Pavese, Fenoglio, Lajolo (e altre storie)
Al Teatro d’Europa a Parigi ha tenuto stages di Lettura Poetica. Per il cinema ha interpretato il T.V. Movie tedesco “Il segreto di Martin”, per la regia di Krzysztof Zanussi; “Il cuore altrove” e "Il papà di Giovanna", regia di Pupi Avati; "Lo straniero di Brest", regia di Charlotte Drouot. È tra gli interpreti di "Un matrimonio", fiction di Rai1 per la regia di Pupi Avati. Ha interpretato Padre Massimiliano Kolbe nella fiction per la televisione tedesca "Heftig Himmel" (Auschwitz 1941), regia di Klaus Bermann, ed è protagonista della fiction “Alexander Platz”, regia di Peter Krauss.
Importanti affermazioni le ha ottenute con produzioni estere rappresentate in tutta Europa. È nel cast di "Los Angeles Mystery's", serie televisiva della ABC Television (Hollywood), regia di Michael Scott - con Al Pacino, John Travolta, Mira Sorvino. All'Actors Studio West di Hollywood ha rappresentato "Rebel of Love" (2013). Ha partecipato a trasmissioni televisive di grande ascolto: Settevoci; Loretta Goggi in Quiz; Parola mia; Uno Mattina; Sanremo dopofestival; Soliti Ignoti (Raiuno); Ci vediamo in T.V. (Raidue) e alla soap opera “Vivere” (Canale 5). Maschera d'Argento del Ministero Turismo e Spettacolo (1993) Premio Lyceum quale miglior attore straniero (Bonn 2005) Premio "Marlene Dietrich" per lo spettacolo "Später der Sturm" (Berlino 2012).